Melbourne, New York (qualche volta), Bollate per la prima volta in una prigione, Toronto, dovunque una persona che è un’opera d’arte vivente (Tattoo Tim) viene esposta, Hobart, Londra (molte volte), Venezia (molte volte), Reggio Emilia (molte volte), Ankara ed Istanbul, Basilea, Monaco, Orizaj, Roma, Edimburgo, Milano, Barcellona, Asuncion, Perth, Taipei, Oxford, Nantes, Parigi, Stoccarda, Torino, Philadelphia, Bitonto, Napoli (qualche volta).…e molte ancora. Se ci hai letto lungo tutto un anno, hai incontrato persone e luoghi che vengono da più di 65 città nel 2017 – un viaggio percorso giusto accanto ai loro cuori.
Vuoi percorrere tutte queste rotte in un solo sguardo?
Prima di guardare il nostro piccolo video One Year of Dreams., dai un’occhiata qui sotto e rileggi qualche frase delle loro risposte alle nostre domande. E quando ti imbatti in un poeta od uno scrittore tra di loro, non dimenticare di curiosare nelle nostre sezioni letterarie (poesie, racconti) dove puoi trovare i lavori che ci hanno prestato!
‘Nasco a Melbourne negli anni 70. E’ nella stessa città che vengo preso ad una scuola d’arte molto importante, attorno ai 20 anni. Mi trasferisco ad Amsterdam ai 28 e lì ho ricominciato daccapo, gli olandesi furono particolarmente duri, ma creativamente mi ha permesso di crescere moltissimo.
Quando avevo 35 anni ho avuto una piccola epifania riguardo il mio lavoro e sul lungo viaggio fatto di anni di ricerca per trovare la mia voce – ebbi un momento di chiarezza e da allora non mi ha più abbandonato. Mi trasferisco a New York a 38 anni.’
Paul Barbera, fotografo, New York e Melbourne
‘Per 22 anni ho fatto l’educatrice di scuola materna. Successivamente, per una passione personale, ho aperto un piccolo catering e coccolavo la buona borghesia milanese. E quando ho chiuso il mio catering convinta di aver finito la mia ‘carriera’, la direttrice della Casa di Reclusione mi ha chiesto se volevo aprire un catering all’interno di un carcere, questo carcere. Qui a Bollate.
Quindi non aveva mai avuto esperienze ‘carcerarie’ prima di questa?
Zero, nessuna. Certo, ho sempre svolto molta attività nel sociale ma non in una casa circondariale. Era proprio un settore di cui non mi ero mai preoccupata ed occupata, ecco!’
Silvia Polleri, Ristorante In Galera, Bollate
‘Toronto è davvero multiculturale e aperta al mondo; ha veramente contagiato il mio modo di essere e di pormi verso la vita. Qui trovi persone di ogni razza, davvero, e in qualche modo ognuno riesce a conservare la sua identità culturale mentre allo stesso tempo è canadese. I torontoniani, e direi i canadesi in generale, non sono soltanto tolleranti ma incoraggiano la diversità – posso dire che ci fa proprio bene, prosperiamo! Grazie a tutto ciò, è molto più facile essere gay e manifestarlo qui a Toronto di quanto lo sia in Italia. Qui non è fantastico solo perché ognuno ha apertamente famiglie gay ed amici. A volte dimentico quanto tutto questo sia un privilegio.
Cosa restituisco a Toronto? Un’esperienza, un modo di essere, la sensibilità e qualcosa che definirei ibrido tra Europa e Nord America.’
Sascha, Toronto
‘Ci puoi dire della tua vita dopo la decisione di diventare un’opera per sempre?
Wim Delvoye e questo progetto hanno di fatto aperto la porta su un mondo a me sconosciuto. Mi era sempre piaciuta l’arte ma non ero un creativo. Da un giorno a quell’altro ho avuto immediatamente accesso a tutte queste persone incredibilmente creative ed al loro pianeta. D’improvviso ne sono diventato parte. Fino ad ora, tuttavia, mi sono sempre sentito un osservatore. Che dall’esterno guardava dentro. Dopo dieci anni, adesso io sono ‘TIM’. Di Wim Delvoye.
Ho il mio ruolo in questo circo bizzarro. L’esperimento funziona. Mi piace anche il fatto che per tutta la mia vita non cambia ne’ l’opera ne’ quel che faccio. Il tatuaggio invecchierà e io siederò lì fino a che morirò.’
Tattoo Tim, ovunque qualcuno lo ‘compri’
‘Senti spesso parlare di come le biblioteche sono costrette a cambiare, quindi anche noi! Ad essere onesta tutto questo mi fa strano e al contempo mi diverte – dato che le biblioteche ed i loro addetti sono sempre stati soggetti ai cambiamenti. Anzi sono abituati perché hanno le capacità per valutare le informazioni e trasformarle in conoscenza utile – e spesso in saggezza. E’ molto riduttivo pensare alle biblioteche come luoghi dove trovare soltanto libri – non lo sono ed in verità non lo sono mai state. Le prime bibilioteche erano piccole stanze riempite con tavolette di argilla, le successive erano attrezzate per le pergamene, poi per i codici ed infine per i libri. Ed ora anche per i computer, i tablet (è come un ciclo che si compie). Il nostro lavoro si concentra sull’immagazzinare le informazioni (su ogni formato) e renderle utili – quindi la pluralità è la nostra norma. La biblioteca del MONA è speciale perché è molto tradizionale nel suo nucleo: una collezione meravigliosa di libri. Tuttavia, utilizziamo ampiamente le ultime tecnologie per fare ricerche e per gestire la nostra collezione. Siamo fortunati a poter lavorare sui migliori aspetti del processo bibliotecario. Ogni giorno ci porta nuove sfide e nuova frenesia.’
Mary, libraria, Hobart (Tasmania, Australia)
‘La tua storia in poche righe – fermandoti un attimo prima dello scoppio – con un pizzico della tua infanzia e del destino che la tua famiglia ha messo nelle tue radici?
La mia vita in poche righe? Oddio…sono stato un vero soldato, ho servito circa quattro anni nell’esercito. Prima ho studiato alla scuola d’arte e ho avuto quel che si definisce una normale educazione nel Regno Unito. Ho un fratello di poco più grande e sono nato nel 1983.
Dallo scoppio allo scoppio (sì, avete letto bene): penso ci sia un lungo, o meglio un assoluto intervallo in cui tu sei tra qui (la vita) e lì (la morte). Hai qualche specifico ricordo di questo
Tutto, ricordo tutto fin quando sono stato cosciente. E lo sono stato tanto, dallo scoppio in avanti.
Se potessi associare un colore a quel momento della tua vita, quale sarebbe?
Giallo, e anche iodino.
Quando studiavi arte, avevi in mente di lavorare nel campo come…
Artista, non curatore. Dipingo e disegno, anche se al momento prevalentemente scrivo.
Anatomia di un soldato è il tuo primo libro. Preferisci definirlo un romanzo o piuttosto una raccolta di racconti?
Per affezione, è un romanzo. Intendo che ogni capitolo è sì dedicato alla vita di un particolare oggetto, ma è inteso come un tutt’uno con il resto, ogni capitolo si rispecchia. Il libro ha definitivamente una narrativa definita, un suo passo.’
Harry Parker, scrittore (ed ex soldato), Londra
‘L’urbanistica fa spesso il conto con la politica e mi viene in mente qualcosa di gelido come la matita rossa di Stalin od altri calcoli. Il rapporto con le cubature, i piani regolatori….E’ un ruolo scientifico o sociale?
E’ un ruolo socio-culturale, molto delicato. Fino agli anni 80, almeno in questo paese ma non solo, l’urbanista si confrontava con un mondo della politica che faceva da mediatore con le istanze sociali (e anche da loro interprete). Sindaci e assessori rappresentavano un’istanza espressa con il voto democratico. Quindi, fatto salvo il tecnico urbanista che era chiamato a metterle in pratica, la domanda veniva dalla società.
Adesso l’urbanista dialoga spesso direttamente con le realtà sociali. E
d occupandosi del cambiamento dell’esistente, un elemento forte del suo baricentro è l’interesse generale cioè la ‘città pubblica’
Henry Fontanari, architetto, Venezia
‘Io nasco a Schio nella provincia di Vicenza sono del 1989 e ho frequentato contemporaneamente lì sia il Liceo Artistico sia l’Accademia Musicale. Mi sono trasferito a Venezia per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove mi sono formato nell’Atelier F, la scuola di Carlo Di Raco, con cui si son formati la maggior parte dei pittori veneziani. E How We Dwell è nato lì. Siamo un gruppo di amici che si son incontrati per caso al suo laboratorio, che è atipico. Si lavora sette giorni su sette, volendo – anche tutto il giorno. E si lavora mescolati. La bellezza di quella tipologia di ricerca e di didattica è che i giovani artisti più esperti lavorano affianco ai più giovani a loro affiancati. Si lavora per analogie di significato, ricerche e d’interessi. In questo modo ho conosciuto bene Cristiano e Marco, da cui ho imparato un molto. La nostra crescita è stata parallela, anche con Adriano (l’altro componente di How We Dwell). Tra il mio quarto ed il quinto anno di Accademia abbiamo deciso di formare How We Dwell.’
Andrea Grotto, Cristiano Menchini
‘Noi siamo tre fratelli, io sono il primo e mio padre mi ha chiamato Adamo come secondo nome, a mia sorella è toccato Eva ed a mio fratello Abramo; tutti e tre non siamo credenti, è una storia divertente e mi piace un sacco.
Ho iniziato a produrre lavori d’arte prima della maggiore età ma mi sono messo a lavorare per il cinema perché volevo imparare e migliorare le tecniche e, possibilmente, avere un reddito mentre lo facevo. Sono stato così fortunato da incontrare – ed imparare da – diversi grandissimi artisti.
Non sono un fan di supereroi o di horror, non guardo la TV e le serie, anzi non ho neanche una TV sin da quando avevo 21 anni. Sono sempre stato interessato al talento, alla maestria nell’esecuzione, al processo ed ai materiali. Ed, ovviamente, alle persone dietro queste creazioni.
Ogni pezzo d’arte che ho fatto proviene da un particolare stato mentale o da una situazione difficile che ha sollecitato il bisogno di riflessione su qualcosa in particolare.’
Valter Adam, Londra
‘Da New York a Venezia mi sembra un cambiamento radicale, ma anche il coronamento di un sogno, se non vado errata…
Sono entrambe delle isole! E’ questa la risposta che do di solito quando qualcuno mi chiede. Ci sono un sacco di similitudini tra il pubblico veneziano che cammina veloce e quello newyorchese. E, certo, molte differenze. Lo stile pedonale di Venezia, ed il layout della città, determina una comunità molto interattiva. Sin dalla mia prima visita qui, sono stata trasportata dalla socialità dei Veneziani! Dal lato fisico e geografico della vita, adoro l’accesso facile alla laguna, i prodotti locali che i Veneziani si godono. A me questo stile di vita colpisce molto di più per la sua naturalità che per la sua radicalità. Forse è New York la radicale. Di sicuro, anzi. Quando ho letto il libro di Salvatore Settis (Se Venezia muore), ho capito che sono sempre stata molto influenzata dalla differenza tra città costruite per la partecipazione sociale, come Venezia, che dalle città dove il progetto è molto più diretto alla produzione che alla costruzione della comunità, come New York’
Marjorie Sterne, ex avvocato, imprenditrice New York e Venezia
‘Eraldo (Affinati) ed Anna Luce (Lenzi): la vostra vita prima della scuola di Penny Wirton?
Ci siamo laureati entrambi su Silvio D’Arzo, autore del romanzo da cui prende il nome la nostra scuola. La vera esperta darziana è Anna Luce Lenzi, ben conosciuta dai critici che si sono occupati dello scrittore reggiano. La nostra formazione è letteraria, ma abbiamo sempre avuto una forte predisposizione pedagogica che ci ha spinti a fondare questa scuola per immigrati.
E dopo l’impegno che avete intrapreso ormai 5 anni fa?
Ormai quasi dieci anni fa! Adesso ci sentiamo responsabili di tante persone che, ugualmente appassionate, decidono di insegnare la lingua italiana ai ragazzi migranti. Abbiamo la sensazione che questo impegno di gratuità possa stimolare le risorse migliori del nostro Paese.’
La Scuola di Penny Wirton, Reggio Emilia
‘Sicuramente il desiderio di condividere con gli altri e di sentire che apparteniamo tutti alla stessa rete. Da bambina ho imparato che la partecipazione è semplice e divertente. La partecipazione descrive perfettamente l’evento della percezione perché coinvolge sempre al livello più intimo l’esperienza di un’influenza attiva tra il corpo che percepisce e quello che riceve.
Non ci sono vere divisioni fra i due, in molti modi la cosa percepita è un’a estensione di chi percepisce. Siamo in relazione sia con il mondo esterno che con quello interno. La comunicazione, la percezione e l’ambiente circostante non possono essere separati e le parole sono azione per noi umani. Sento che noi tutti dobbiamo esprimere il nostro potere in ogni cosa che diciamo o facciamo senza paura di essere mal interpretati come forse aggressivi od egoisti, perché ciò che ci impedisce di essere attori è questo credo di sottofondo che siamo separati e senza potere.’
Anita Sieff, artista e filmmaker, Venezia e New York
‘Finita la laurea, lavoro per una cooperativa sociale di Padova che si occupa di reinserimento lavorativo.
Il mio sogno è tuttavia un altro: mantenermi con le attività che ho iniziato a fare con Closer, l’associazione culturale che ho fondato insieme agli amici del liceo (sono suoi coetanei, nati tutti tra il ‘90 e ’92: Leonardo Nadali, Nicolò Porcelluzzi, Luca Ruffato, Federico Tanozzi, Leonardo Azzolini).
Siamo nati da appena un anno, bisogna avere pazienza.’
Giulia, Venezia
‘E’ vero che le lacrime ed il sangue hanno lo stesso sapore, lo stesso odore e la stessa temperatura?
E hanno anche lo stesso gusto. Salato. Possiamo avere differenti colori di pelle o di occhi, ma tutti noi abbiamo lo stesso colore di sangue e lacrime. Allora perché diavolo combattiamo su questa terra? Ognuno di noi alla fine concimerà il terreno con le sue carni, il sangue e le lacrime. Speriamo che da quel suolo cresca una pianta migliore.
Hai per caso notato anche tu che Istanbul Istanbul – se escludiamo il magistrale ma orribile plot della mappa delle celle della prigione e tutti gli strati di atrocità che sono dolcemente e fantasticamente mischiati alla poesia e all’ironia che citavo prima – è il migliore manifesto turistico per questo governo e per questa città in questo preciso momento?
Tu fai prevalere la bellezza su tutto – incluso il peggior tipo di morte.
Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo, anni fa, non mi aspettavo che sarebbe diventato l’istantanea della Turchia di oggi. Se lo avessi saputo avrei forse cambiato idea oppure la sua trama? Non penso. Perché, attraverso il dolore, volevo attirare l’attenzione sulla bellezza – la bellezza della città, degli uomini, delle storie. So anche che le autorità cercano a tutti i costi di sbarazzarsi della bellezza glorificando il dolore mentre noi cerchiamo di fare esattamente l’opposto.’
Burhan Sönmez, scrittore, Ankara
‘Una delle mie caratteristiche, la curiosità, viene da una circostanza che definirei di oppressione positiva.
La mia famiglia non era interessata alla cultura e alle arti, semplicemente perché veniva dalla generazione del dopoguerra tedesco e cercava di trovare una posizione professionale partendo da zero come potrete immaginare. Non c’era allora il tempo per queste cose e neanche l’ambizione, erano di certo interessati ma non potevano coltivare l’arte e la cultura.
All’inizio ero più dentro la cultura e meno nelle arti.
Devo tutto il mio interesse all’arte a mia nonna (di Colonia). A casa sua trovai alcuni libri sull’artista surrealista Salvador Dalì che mi ha aperto gli occhi e da allora lessi qualsiasi libro sull’argomento che trovavo a tiro.
Ricordo che viaggiai persino sulle sue tracce, a quel tempo era ancora vivo. Andai persino a sedermi sulla spiaggia dove c’era la sua casa (a Cadaques, nella baia di Port Lligat), presi anche una piccolo mattonella caduta dal suo muro per portare qualcosa con me in ricordo.
Quel profondo interesse in questi mondi – l’arte e la letteratura – non mi ha mai abbandonato.’
Thomas Girst, capo del BMW Culture engagement ed ex editore, Monaco di Baviera
‘Adoro l’idea che tu voglia fare del sole il nostro migliore alleato, amico ed anche una ‘seconda pelle’ come accaduto in uno dei tuoi passati progetti quando hai reso possibile per ognuno l’uso dell’energia solare indoor anche senza grandi pannelli sul tetto – semplicemente ‘avvolgendo’ di una speciale superficie-pelle i tavoli o le finestre.
E’ qualcosa così naturale ma anche così indispensabile che sorprende nessuno ci abbia pensato prima. Insomma, tu coniughi design e tecnologie avanzate sull’energia solare. Accanto all’ispirazione che magari ti è anche venuta grazie agli interessi dei tuoi familiari, qual è veramente stata la tua scintilla interiore a farti dedicare, da progettista, esclusivamente al sole?
E’ vita, è una fonte di energia. E’, quindi, tutto.
E’ iniziata quando lessi che l’irraggiamento solare che colpisce in un’ora la terra sarebbe sufficiente a produrre energia elettrica gratis per tutto il pianeta per un anno. E’ da lì che compresi che volevo lavorare solo con l’energia solare perché c’è troppo potenziale lì dentro per tutto il genere umano che in qualsiasi altro posto.
E più mi ci dedico, più mi rendo conto delle possibilità senza fine che si aprono in questo settore. Non le utilizziamo abbastanza e adesso è il momento di pensare a farlo. Noi che veniamo dal mondo del design dovremmo aiutare a diffondere questa filosofia.’
Marjan van Aubel, Amsterdam
‘La mia storia comincia il 6 giugno del 1982, quando sono nata. Vengo da un piccolo paesino di campagna dal nome Orizaj, ubicato vicino alla città antica Berat, nel centro sud dell’Albania. A quanto dicono i miei genitori sono stata muta fino all’età di tre anni e quando ho cominciato a parlare ero veloce e abbastanza precisa, penso per recuperare il tempo perduto. Non ho iniziato la prima elementare come tutti gli altri bambini perché sono caduta dal fico e mi sono fratturata la gamba perciò ho incominciato al secondo semestre. E’ stata mia madre a insegnarmi l’abecedario quindi devo a lei la passione per la parola, anche se lei in realtà era un atleta, quindi di poche parole e molto concreta.
In generale la mia infanzia è stata felice perché giocavo con il fango, inventando giochi originali come creare dei gomitoli di fango per poi lanciarli con forza estrema sulla terra. Ricordo i miei piedi sempre scalzi con strisce rosse perché correvo nei campi di grano appena arati.’
Jonida Prifti, poetessa, Orizaj e Roma
‘Il mio processo creativo di solito inizia con un impulso molto intimo che viene da una situazione specifica della mia vita. Possiamo dire che è un’urgenza idiosincratica che vuole essere trasformata in qualcosa d’altro. Forse in qualcosa di meraviglioso. La bellezza implica comunque un portato sociale perché include un’idea generale o collettiva. Se dici ‘mi piace questo’ vuoi dire che è una tua inclinazione personale. Se invece dici ‘penso sia bellissimo’, implichi l’idea che qualcun altro possa pensare lo stesso. Estetica ed etica formano una coppia complicata. La loro relazione insondabile potrebbe rappresentare uno dei migliori inneschi per ciò che chiamiamo arte. Ed è direttamente connessa ad un’altra relazione che mi interessa molto, quella tra individuo e società. Ecco dove il lato politico della faccenda inizia per me, dove il mio lavoro attorno alla scultura si situa. La scultura ha sempre bisogno di un posto dove essere collocata. E io credo nell’energia poetica dell’arte che arricchisce, ed attiva, una società.’
Florian Graf, artista, Basilea
‘Nasco 32 anni fa ad Alessandria d’Egitto da genitori egiziani, ho una bambina di 5 e ne sono molto fiera! A circa 2 anni e mezzo vengo in Italia, tra Modena e Reggio (dove poi ci siamo stabiliti e da lì ho fatto tutte le scuole dell’obbligo nella città in cui tuttora vivo).
Mi sono laureata in lingue (inglese e francese) ma ho approfondito la mia lingua madre (arabo classico) ed il persiano, una straordinaria lingua per la sua commistione con l’inglese (è una lingua indoeuropea!). Ho amato molto tornare all’origine dello studio soprattutto della mia lingua madre, trovando in questa nuova relazione con essa una profondità inaspettata e densa di enormi significati.
Subito dopo la laurea ho iniziato a lavorare dove sono adesso e quindi, sin da allora, mi occupo di interculturalità (Marwa è responsabile dell’educazione interculturale per la Fondazione Mondinsieme del Comune di Reggio Emilia).
Marwa Mahmoud, Reggio Emilia
‘Mi interessa la tua vita – breve, hai solo 25 anni: tutto quello che non entra nel gossip o nei giornali di moda dove sei sovente ritratto. Il Marcantonio personale, quello poco raccontato. So che hai studiato all’estero e che hai cominciato presto a viaggiare.
Sono stati 25 anni vissuti molto in fretta, per vari motivi. Primo perché sono uscito di casa presto, a studiare in collegio a 16 anni. E poi perché sono stato abbastanza viziato (in un certo senso lo sono ancora, ma da ‘indipendente’ adesso). Tutto quello che un giovane avrebbe fatto adesso, io l’ho già fatto prima. E quindi adesso sono pronto per una famiglia e dei figli.
Mi sono appassionato tanto ad una città, che prima odiavo, e sono convinto che qui si è liberi di creare quello che si vuole perché c’è un potenziale enorme. Parlo di Venezia.
Non amavo Venezia da ragazzino perché volevo fare una vita diversa – quando inizi l’adolescenza, hai sempre in testa una vita di splendori, viaggi, feste, donne, discoteche, droghe. A quei tempi la odiavo perché negava tutti questi cliché. Anche perché a 14 anni Venezia non mi avrebbe dato quello che mi da adesso che sono cambiato.
Sì, ho viaggiato molto. Ho studiato in Svizzera e poi a Londra e da ultimo ho passato sei mesi in Argentina.
Il design per me, come per me il vetro, ha un doppio fine. Fare lampade, o vasi, è importante perché lavoro a Murano. In piccolo, quell’isola è il mondo di adesso: molte aziende pensano solamente a se stesse – e spesso con una mentalità vecchia – molti imprenditori non leggono il potenziale assurdo nelle loro mani. Riuscire a fare quello che facciamo (siamo una squadra, non sono da solo!) per me è, in piccolo, cambiare il mondo. Quello che sto facendo col vetro, potrebbe essere fatto su qualsiasi altro prodotto, dico qualsiasi: dalle ruote di scorta, alle banane, alle patatine fritte…
Sono tornato molto felicemente a Venezia, devo dire, dopo tutto questo peregrinare. L’ho proprio scelta.’
Marcantonio Brandolini D’Adda, imprenditore, Venezia
‘Sono un nord-irlandese che vive ad Edimburgo, sono un lettore lento e cerebrale, felice e brizzolato, sono in cerca di meraviglia e sono irrequieto.
Sono un filmmaker vano, gentile – e sono uno scrittore che è cresciuto nella Belfast durante ‘i problemi’, che ha studiato cinema, arte e filosofia, che è stato con la stessa donna per trent’anni, i miei film trattano temi come il camminare, i bambini, il recupero e l’innovazione. Due miei libri tra poco escono anche in Italia (La Storia del Film, La Storia del Guardare), sto per completare un film su Orson Welles, ho scalato la famosa insegna Hollywood nudo, il mio artista preferito è Tintoretto, sono un professore onorario di cinema, sono influenzato dal surrealismo, mi annoio facilmente, il mio scrittore preferito è James Joyce, il mio regista preferito è Imamura Shohei.
Mark Cousins, regista, Edimburgo
‘Quando in un salotto ti chiedono che fai nella vita, quale è il tuo mestiere, rispondi poeta?
No, rispondo che faccio il giornalista, non mi piace attirare l’attenzione. Ma ho sempre pensato al poeta come un falegname o un sarto, che lavora fino all’esaurimento a dettagli cui forse nessuno farà caso.’
Alberto Pellegatta, Milano e Barcellona
‘Tu come lettore. Che luoghi, che bisogno, che libri ora con te?
Leggo con passione e sempre, analisi sull’esistente (un esempio: gli scritti di Gustavo Esteva, Messico), saggi teoretici (un esempio: Ivan Illich, uno dei pensatori più importanti del secolo scorso, dovrebbe essere letto di più), e molti romanzi – incluso gialli. I romanzi – e fino ad un certo punto anche i film – aprono mondi, presenti o passati, e ci aiutano a capire il presente. Di recente stavo leggendo Jack Kerouac, Paul Auster e Jane Austen. E stavo recuperando un po’ del mio italiano (la lingua della mia infanzia), con La mossa del cavallo di Camilleri, un romanzo ambientato nella Sicilia del passato (un’isola dalle tante ispirazioni), e, con un particolare interesse, Morte di Un Uomo Felice di Giorgio Fontana: riguarda la violenza politica e la resistenza di un certo passato italiano (Slow Words ha intervistato Giorgio Fontana in occasione della sua vincita del Premio Campiello 2014 che abbiamo esplorato da molte angolazioni….).’
Benno Glauser, antropologo e docente, Paraguay
‘Se puoi dirlo, dove ti vedresti tra dieci anni, considerando anche la Brexit che è fuori dalla tua porta ormai…Pensi sempre di stare in Inghilterra e che sia ancora il tuo posto preferito?
Ci penso e ripenso, non solo per via della Brexit. Mi sono sempre divisa tra Australia e Inghilterra, meglio dire con Londra. Ho come il sospetto che mi trasferisco in Australia. E’ davvero facile vivere lì, meno pressione, meno cose che ti travolgono (che però è anche il bello di Londra; accade sempre così tanto qui! E hai così tanto sottomano di tutto, ma allo stesso tempo fa bene andare via da qui).
L’Australia è la mia madrepatria, è ciò a cui sono usa, è dove ho famiglia ed amici…Un’attrazione ma anche una vita semplice. Posso anticipare che sì, tornerò a vivere lì.’
Elisabeth Malone, avvocato e mecenate, Londra e Perth
‘Perché Taipei e l’Asia? Cosa ti da e cosa ti sembra di dare in cambio ancora oggi?
Taiwan è un luogo dove vi è una reale libertà di espressione, specialmente nell’industria creativa. Lì non esiste alcun tipo di censura. E specialmente Taipei è una grande culla per tutto questo.
Il mio lavoro consiste assicurare il miglior ambiente produttivo possibile per gli artisti ed i filmmaker con cui lavoro. Ci sono moltissime cose straordinarie che stanno accadendo in Asia, oltre quei capitali apparentemente infiniti che sembrano fiorire attorno alle arti. Ciò detto, ci sono ancora alcune aree da migliorare, soprattutto nel mettere al centro della creatività cose come l’autenticità e l’originalità.’
Jeane Huang, produttrice culturale, Taipei
‘Come giornalista e fondatore di due importanti quotidiani, che opinione ti sei fatto del rapporto tra tasso di lettura e social network e più in generale del futuro della carta o comunque del modo di leggere un giornale a cui eravamo abituati fino ad ora?
Nel Regno Unito, e nella maggior parte dell’Europa, il modo di leggere un giornale a cui eravamo abituati sta morendo. Sopravviverà in piccoli casi ma il suo declino è irrevocabile, ed è una sorta di tragedia. Per oltre un secolo, la lettura del quotidiano è stata fondamentale nei nostri ‘mestieri di vivere’. C’erano le pubblicazioni di sinistra, di destra e di centro che riflettevano i diversi punti di vista culturali e politici. Prima era d’uso che si comprasse uno o due giornali e si leggevano dall’inizio alla fine, poi magari si passavano agli altri familiari od agli amici. Oggi il lettore di giornali online è più che altro promiscuo e visiterà molti siti in brevissimo tempo. I giornali online – e sicuramente quelli gratuiti – non sono ne’ organi di opinione e neanche outlet di informazione completa nel modo in cui lo sono stati quelli cartacei. Le conseguenze per la società saranno davvero molto serie.’
Stephen Glover, scrittore e giornalista, Oxford
’Se, idealmente, desiderassi dare un suggerimento a chi cambia il suo corpo con la chirurgia plastica oggigiorno, quale sarebbe? E che canone di bellezza o che grado di indipendenza da ogni ‘canone’ desidereresti?
Inventai quella serie di lavori su questo argomento (sin dagli anni 90 l’artista francese si rese assai celebre per aver imposto al suo corpo una serie numerosissima di interventi di chirurgia plastica e facciale per prendere le sembianze di icone del Rinascimento o di altri periodi) non per ragioni personali ma proprio per la mia ricerca artistica. Per farla breve, era come mettere una figura sulla mia faccia, quindi una rappresentazione, e per crearmi una nuova immagine al fine di produrre nuove immagini con le mie auto-ibridazioni pre-colombiane, indo-americane, africane – ed ancora, come le maschere dell’opera di Pechino, addirittura coinvolgendo progettazione e realtà aumentata.
Ho addirittura, di frequente, fatto impianti dentali agli zigomi e li ho messi anche sulla fronte perché questo gesto non era mai stato fatto e quindi non era mai inteso per aumentare la bellezza.
Il mio processo artistico è totalmente contro i canoni di bellezza e contro la standardizzazione in genere. Non sono contro la chirurgia plastica ma sono contro quello che ne hanno fatto, quindi se devo consigliare di sicuro direi a chi si vuole operare di farsi prima un autoritratto e di stare lontano dai modelli che sono stati creati per questo tipo di operazioni.’
Orlan, artista, dovunque nel mondo ma nata francese
‘Il tuo modo di suonare le percussioni assomiglia all’arte di un plasticista (nell’architettura) o di uno scultore (nelle arti visive). E’ come se accompagnassi il suono che forgi sempre al suo prossimo stato. Perché, in fondo, per te la musica no è solo uno stato mentale ma anche un vettore di energia. E’ per questo che hai scelto le percussioni? Fare questo ti era possibile solo in questo ‘ruolo’ d’orchestra – anche se sei un solista rinomato?
Esattamente, per me musica è energia, temperamento ma allo stesso tempo sensibilità, intimità. Musica è comunicazione ,attraverso di essa si possono esprimere così tanti stati d’animo, mi verrebbe da dire che la musica addirittura è medicina.
Senza il suono probabilmente questo mondo e noi umani non potremmo esistere.
Musica è anche movimento, ritmo. Il nostro cuore stesso ha un ritmo costante.
Ma ancora più alla radice di tutto direi che la musica è vita!’
Simone Rubino (1993), percussionista, Torino
‘Cosa dai alla tua città e cosa invece pensi essa ti dia?
Bene, la mia vita è interconnessa con questa città e quindi la mia vita è un’espressione delle sue pulsazioni. Un anno fa è nato mio figlio. Il dottore che lo ha fatto nascere era il figlio del dottore che mi ha aiutato a venire alla luce del mondo. Me ne sono andata da qui un paio di volte – e ho continuato a tornare. Ogni volta ritornando nei giri che lasciavo, riscoprendo persone e luoghi che avevano avuto un ruolo nei miei stadi di vita precedenti- Penso che io e Stoccarda viviamo su frequenze risonanti.’
Angela Warnecke, artista e manager, Stoccarda
‘Dove ti vedi tra 10 anni da ora? Sarai ancora così contenta di vivere facendo tutte queste cose o preferirai esplorare nuovi posti?
Due anni fa, prima che ho avuto il lavoro di docente universitario, mi chiedevo se avessi mai avuto il livello energetico sufficiente per fare tutto – insegnamento, dj, attivismo – insieme!
Quando ricevi un incarico di docenza a tempo indeterminato come è accaduto a me, è talmente rara come occasione che cerchi di tenerla a tutti i costi!
C’è un’altra cosa: se come me sei sulla scena musicale a 44 anni, sembri alle volte troppo ‘vecchia’ per condividerla con i giovani soprattutto perché loro ti vedono di più come un mentore che come un performer accanto a loro (e specialmente se sei femmina, questo accade ancora di più perché va detto che la musica è una scena molto ‘maschile’ e inoltre puoi essere dimenticata in fretta se non suoni in giro tanto, tutto questo è veramente stancante).
Mi do da fare anche partecipando alla discussione, al lato culturale della musica, facendo workshop, lezioni, conversazioni ma non mi sembra di ottenere tutto il divertimento che mi da quando sono a suonare o danzare..’
Larisa Mann, dj e docente universitaria, New York e Philadelphia
‘Il suo rapporto con i tessuti e le trame è davvero inedito, se si guarda alla tradizione sartoriale italiana e del sud Italia che lei rende meno convenzionale: come le sceglie, le annusa, le interpreta?
Per me i tessuti migliori li hanno sempre fatti gli inglesi. E così anche le scarpe. Adoro i loro pesi, la loro robustezza, la loro fisicità.
Il tessuto italiano è, come dice bene Lei, più “convenzionale”.
E questo perché in Italia il vestito viene usato per sembrare belli, fighi. Anzi, più belli e più fighi di quanto non lo si sia intimamente.
Gli inglesi non sono mai apparsi interessati a farsi notare, ma, semmai, a farsi ricordare.
E il ricordo lo lasci, e lo lasci indelebile, più quando mantieni il silenzio che quando alzi la voce.’
Valentino Ricci, disegnatore di moda ed imprenditore, Bitonto
‘Che relazione hai con i lettori, quando leggi i tuoi pezzi? Preferisci i commenti di persona, occhi con occhi oppure i feedback mediati dai social?
Sono più o meno un introverso e un tranquillo quindi preferisco in genere il silenzio come stato generale nella mia vita. Ma dato che vivo e vendo racconti, la mia relazione con i lettori è quella dove entrambi ci diamo una mano, spesso quindi me ne vado in giro e parlo con le persone. E’ bello quando poi piacciono le storie, fa stare bene anche me.
Faccio un sacco di vendite dirette, a mano: ho sempre con me dovunque vada un sacco di One Dollar Story ficcate in borsa. Quindi, come vedi, ho sempre un sacco di interazione personale.
Ogni volta che pubblichiamo un nuovo racconto, abbiamo una premiere e allo stesso modo faccio un party ogni volta che faccio un nuovo video. Beviamo un sacco, ci divertiamo e di solito funziona: un sacco di persone vengono, sia quelli che non vedo di frequente che quelli che vedo ma incontro anche nuove persone’
Galen DeKemper, editore e scrittore a One Dollar Stories, New York
‘La tua vita in poche righe, con un particolare accenno a dove nasci e cresci
Ero un ragazzo come tanti, sensibile e introverso ma allo stesso tempo socievole e curioso: la musica, il calcio giocato e gli ippopotami erano le mie grandi passioni.
Papà avvocato era un workaholic (io ero certo di non cadere nella stessa dipendenza, ma non sono tanto sicuro di esserci riuscito) a lui mi legava un amore carnale – mio nonno ci sfotteva per tutte le nostre effusioni “ma c’ata fa’ cu tutte ‘sti uommeche…” (dal napoletano: piantatela con queste smancerie, potrebbe essere un tentativo di traduzione: letteralmente non ha senso in Italiano). L’ho perso troppo presto, il mio babbo. E penso spesso a lui, Carlo. Sarebbe contento ora nel vedere che evitarmi tribunali e carte bollate e spingermi a seguire i miei percorsi per quanto sghembi, evanescenti all’inizio mi abbia comunque portato oggi a ottenere risultati concreti e per me appaganti.’
Giogiò Franchini, montatore cinematografico, Napoli
‘Quando è stato che una certa deriva situazionista ha preso il comando in te e quindi fondi Morbid Books e, poi, A Void? E perché? In particolare, perché un formato di interviste mischiate a poesia assai sottile per il tuo magazine letterario A Void?
Nonostante il mio schietto criticismo per la cultura borghese, mi piace molto leggere storie vere in riviste patinate come il New Yorker e Playboy, così come in riviste indipendenti, in magazine e fanzine di contro-cultura e punk. A parte un paio di rare eccezioni, le riviste di poesia hanno un’estetica oscena. Quindi, quando Edmund Davie e io abbiamo deciso che avremmo dovuto fare una rivista per esperimenti poetici come quelli in cui ci misuravamo, tra cui Poet for Hire, il mio istinto ha preso il comando e abbiamo finito per pubblicare non solo poesia in un’estetica visiva eccitante, ma anche storie vere sull’underground – le persone e le loro idee – in uno stile popolare ed accessibile.’
Lewis Parker, A Void – Londra
‘La parola è il fondamento di tutto ciò che costituisce la nostra umanità. Le nostre parole sono importanti anche quando parliamo di cose che sembrano non esserlo. L’espressione, il modo, i toni che scegliamo, sono essenziali per la qualità delle nostre relazioni e della nostra vita in generale. Le parole, quando sono basse e vili, ci mettono di fronte alla degradazione della nostra umanità e del nostro pensiero. La musica, in fondo, come la poesia e la letteratura, sono le sentinelle di questa condizione così fragile, sempre in bilico tra elevazione e sprofondamento.’
Stefania Tarantino, filosofa e musicista, Napoli
‘Dopo due anni di scuola alberghiera e dopo il lavoro al ristorante di cucina giapponese lì per quattro anni…
Mi sono accorto che mi piaceva la pasta!
Ogni giorno libero dal lavoro, di solito la domenica, andavo sempre a mangiare italiano…E alla fine sono entrato in un ristorante italiano. Ho lavorato a Kobe, nella mia città e poi a Hiroshima.
Dopo mi è venuta voglia di imparare davvero la cucina italiana dove nasce. Qui.
Sono arrivato a Firenze, non conoscevo la lingua e quindi mi sono iscritto alla scuola di lingua (il suo italiano è ottimo, a tratti con inflessioni tosco-venete). Per due mesi ho imparato tutto quello che potevo, visto che parlavo pochissimo inglese e di italiano sapevo solo buongiorno/buonasera, grazie, ciao. Ho affittato una stanza da una signora italiana, pensa quando mi ha spiegato come si usava la lavatrice non ho capito nulla e siccome non volevo romperla ho lavato per due mesi a mano.
Non capivo bene come fare a prendere i bus e allora camminavo ogni giorno per 5 km per arrivare a scuola, sia per andare che per tornare.
Avevo, allora, 26 anni: l’Italia è stato il mio primo viaggio. Avevo anche tanta paura degli stranieri.’
Masahiro Homma, chef in Venice
Le nostre e le loro parole lente vanno nella stessa direzione e verso lo stesso scopo: sentire e comprendere le qualità della vita e di che sapore sono fatti i sogni ad ogni latitudine, senza discriminazioni o confini.
Rileggiamo e traduciamo per voi poeti, scrittori e cantautori da molte altre città ancora. Spesso inedita, la letteratura che selezioniamo per voi viene da ogni tradizione culturale e da ogni secolo con una speciale predilezione per autori di opere prime.
In tutto il 2017 abbiamo anche portato i nostri lettori affezionati in posti molto insoliti per far loro conoscere di persona gli scrittori che abbiamo intervistato e selezionato mentre gustavano del buon cibo e ascoltavano buona musica. I nostri readers’ club sono una gioia e sono sempre a libero accesso.
Le nostre storie, tutte vere, servono a dare nuove prospettive. E nessuno collezionerà mai le storie come lo facciamo noi.
Noi, persone di questo mondo, possiamo fare la differenza.
Slow Words People and Stories from this World ha bisogno del tuo sostegno per l’anno che stiamo vivendo, il 2018, e ogni tua donazione alla nostra non profit sarà una piccola opera d’arte e metterà al sicuro questo podio libero che genera letteratura dal reale per un altro anno ancora. Scrivici per saperne di più e per sapere come contribuire!