Antonella, biologa oncologa, Venezia

 

La tua vita in poche righe, proprio da dove inizia

Inizia a Treviso da genitori entrambi calabresi, appena trasferiti. Inizia in compagnia perché al mondo era già arrivata mia sorella, ad aprirmi la strada 13 mesi prima..ed ad aspettarmi per attraversarla. Continua qualche anno più tardi a Dosson in provincia di Treviso, prosegue a Padova per gli studi in Biotecnologie mediche, va casualmente poi a Venezia, anche se gli studi continuano a Padova con il dottorato in oncologia. Dopo il dottorato proseguo il lavoro di ricerca sempre a Padova, ma continuo a vivere a Venezia, dove ho trovato la mia “casa”, la mia “famiglia” di amici, e infine Alvise (Alvise Bittente, artista e disegnatore veneziano)…Mi piace stare tra due città, Padova è ottima dal punto di vista lavorativo e la mia vita altra è a Venezia, dove ho i miei affetti e il mio ambiente, tengo alla distanza di 30 minuti di treno vita e lavoro.

 

 

Ti occupi di scienza e di ricerca, in particolare di una rara forma di leucemia (la leucemia a grandi linfociti granulati)?

E’ una forma particolare di patologia, recidiva, che colpisce particolarmente in età adulta.

 

 

Ci racconti la tua giornata ed in particolare gioie e dolori di questa specifica professione?

Inizia col treno, mezzo a cui sono affezionata e che mi permette di riprendermi dalla sveglia mattutina e approdare a Padova preparata. Il tempo del viaggio è un tempo mio, di lettura, chiamate, pausa riflessiva dal corri corri della vita. A Padova ho la mia bici, 10 minuti e sono in laboratorio al VIMM (Istituto Veneto Medicina Molecolare). E una volta in laboratorio il lavoro è sempre un po’ diverso, non esiste routine. C’è sempre un progetto o più progetti in corso, il tipo di esperimenti e analisi sono diversi in base al dato da scoprire. Nel tempo anche il gruppo di ricerca è variabile nei componenti perché in laboratorio ci sono sempre nuovi tesisti/tirocinanti in biologia, medicina, farmacia, nuovi dottorandi o borsisti. In laboratorio coordino un gruppetto di dottorande e tesisti, tutti insieme portiamo avanti diverse linee di ricerca sulla leucemia LGL.

Ogni risultato di laboratorio viene poi discusso con dei medici del reparto di ematologia di Padova che della malattia sono esperti seguendo da anni i pazienti che ne sono affetti.

Di questa malattia non se ne conoscono le cause, si sono capiti alcuni meccanismi che la caratterizzano, ma c’è ancora molto da scoprire. Su questo piano stiamo cercando di capire le alterazioni biologiche della cellula leucemica che portano essa ad essere diversa dalle cellule sane. Le indagini vanno dal DNA, ai segnali intracellulari, alla superficie della cellula, fino alle interazioni cellula-cellula o cellula-ambiente. Altro piano di indagine è trovare una terapia specifica per questa forma di leucemia che ancora ad oggi non ha una cura specifica, disegnata su di essa. Per questo testiamo in vitro diversi farmaci e ne studiamo gli effetti sulle cellule derivanti dal sangue dei pazienti per capire quali funzionano meglio tra quelli già in uso in terapia e se alcuni farmaci sono più efficaci su un tipo di pazienti piuttosto che in altri, per una terapia sempre più mirata.

Le gioie: capire qualcosa che prima non sapevi, la cellula è un piccolo mondo; scoprire qualcosa di nuovo, mai descritto prima, contribuire ai passi avanti nello studio delle leucemia; trasmettere la conoscenza, riuscire a coinvolgere chi approda in laboratorio all’entusiasmo della ricerca; intraprendere sempre nuovi percorsi, nuovi obiettivi; lo scambio, le collaborazioni tra diversi centri, questo lavoro ti porta in giro, per collaborazioni e congressi, si viaggia, si incontrano altri punti di vista per affrontare la ricerca. E’ un lavoro dinamico.

I dolori: la precarietà dei contratti, dei finanziamenti, l’ansia delle scadenze, a volte ci sono ritmi serratissimi per chiudere un progetto, lo stress di preparare tante cose. Ma i ritmi serrati contribuiscono all’adrenalina della scoperta e della pubblicazione. Altri dolori: a volte è difficile restare sempre al passo con tutto ciò che gravita attorno al mondo della ricerca, lavorare bene, ossia in modo efficace, proficuo e di qualità, non è facile. Non solo costa, ma prevede anche fortuna, occasioni, mezzi, e a volte c’è la frustrazione di non essere in grado di supportare tutto. Tuttavia, affrontando ogni paura, ogni ansia da prestazione, accettando i propri limiti e ricordandosi delle proprie potenzialità anche questi dolori possono diventare punti di forza che fanno sì che il tuo lavoro sia sempre di colori diversi e che sia sempre una sfida. Poi dei dolori della ricerca e dei ricercatori italiani ce ne sarebbe da dire e polemizzare su piano politico… Mi permetto solo una cosa, a volte rimango affascinata nel constatare quanti italiani hanno fatto la storia della scienza, quanti italiani, in Italia o sparsi per il mondo, sono oggi protagonisti di grandi scoperte. Spero che l’Italia non dimentichi questa sua identità da pioniere, e mi rattrista vedere quanto poco si tenga in considerazione la ricerca. L’Italia deve continuare a puntare sulla ricerca, è un investimento sull’intelletto, la creatività, l’evoluzione della mentalità. Credere nella ricerca è vederci lungo, finché invece curiamo solo il nostro piccolo giardino il passo rimane corto e lo sguardo chiuso.

 

 

Se non fosse dedicata a questa rara leucemia, quale sarebbe invece la tua aspirazione di ricerca (se diversa)?

Mi interessavano e mi interessano i tumori, se non era la leucemia mi sarebbe interessato comunque far ricerca oncologica. Capire come le cellule da normali diventano “guaste”, invadono l’uomo che fino a prima sostenevano. Come succede? Perché? Come si può perdere l’equilibrio dell’uomo-macchina? Inoltre, la diffusione dei tumori è estesa, tutti noi abbiamo vissuto la perdita di un caro a causa di un tumore e quindi mi interessa ancor di più spendermi in questo.

 

 

Il rapporto donne/scienza è complesso e irto di difficoltà come altre professioni sembrano suggerire per l’affermazione di una professionista donna? 

Io vedo il futuro della scienza in mano all’uomo come genere umano, ci sono tante donne nel mio ambiente, siamo più donne che uomini, e vedo che i ‘piani alti’ son sempre più occupati e conquistati da donne. Con il passare delle generazioni qualcosa è cambiato, ci sono molte più donne a capo di gruppi di ricerca, diversamente da una volta, non per lotte d’affermazione di genere ma per meriti della persona, spesso oggi donna. Le difficoltà di affermazione nella ricerca sono grandi per tutti, così complesse che siamo tutti in una stessa barca. Inoltre, ho visto donne che per forza, qualità, caparbietà e orgoglio si son fatte strada senza la difficoltà di essere donna, ma usandone le potenzialità. Fare scienza oggi è anche saperla comunicare bene: essere divulgativi per creare conoscenza su tutto ciò che fa paura e sull’ignoranza che genera falsa conoscenza. Ecco io ho visto donne molto meritevoli in questo. Ammirevoli e affascinanti, empatiche e potenti.

 

 

Che differenza di attitudini vedi tra un tuo collega e una tua collega nella speciale applicazione che fate della conoscenza nel tuo lavoro?

Mah, ognuno ha il suo approccio, non trovo interessante parlare di potenzialità di genere, ciò che credo è che in un equipe di ricerca è meglio se c’è una buona mescolanza, una fertile contaminazione, uomo, donna, l’esperto datato e il giovane fresco di studi, l’italiano, lo straniero.

 

 

Trovi il tempo di dedicarti appena puoi ad altre passioni, io ho incrociato quella del teatro. Ci racconti di più?

Il teatro è un’opportunità preziosissima che ho, è uno spazio in cui vivi in una dimensione fuori dall’ordinario, è un po’ gioco (che bello poter giocare da adulti!), è scoprirsi in aspetti di sé di cui nella quotidianità non vieni a conoscenza, è riflessione e, infine, è creare bellezza. Se si costruisce una scena, una improvvisazione intensa, vera nella sua finzione, efficace …lì sì è vivere e creare bellezza. È come comporre un quadro. E lo senti da dentro che funziona e che crei non una riproduzione della realtà, ma un sentire comune …il magico della vita nella rappresentazione di ciò che è e non è la vita, si passa sopra e sotto il piano della realtà. Ed è una composizione collettiva e individuale e nel creare si incontra l’altro su un altro piano. Mi fermassi solo alla quotidianità quante cose perse potrei contare. E’ un’occasione sperimentarsi sul fuori ordinario e quindi straordinario.

 

 

Un talento che hai uno che ti manca?

Credo di aver la capacità di saper unire le forze, essere punto di riferimento e metter d’accordo persone per far squadra, per sfruttare le potenzialità di tutti. Questo grazie anche al fatto che mi viene naturale veder in tutto e tutti il lato bello, è un mio modo di vedere e percepire il mondo. Così anche nel campo della ricerca credo di avere una buona visione nel mettere insieme dati, trovare potenzialità e connessioni.

Mi manca la praticità di concludere velocemente cose, essere rapida a prendere decisioni, chiudere progetti, cosa fondamentale nel mio lavoro, se non ho una scadenza precisa mi concedo troppo tempo.

 

 

Cosa pensi di dare alla tua città e cosa pensi essa ti dia in cambio?

Un contributo semplice ma fondamentale per oggi a Venezia: semplicemente ci vivo, la vivo come città, ne frequento le botteghe, i locali, le osterie, i cinema, i teatri, le palestre, contribuisco al fatto che Venezia non venga vissuta solo come meta turistica, sempre più svuotata dei posti per i residenti a favore di quelli per i turisti. E più residenti lasciano Venezia (per motivi comprensibili e condivisibili), meno richiesta c’è di posti e situazioni per i cittadini e più questi vanno a perdersi.

In cambio Venezia mi dà una sensazione di tranquillità, senza macchine, a passo d’uomo. Pur mantenendo le caratteristiche della grande città con mostre e eventi importanti, è una città-paese dove camminando incontri la gente che conosci. E’ una città bella, che ancora mi piace scoprire e riscoprire e poi ha il lido e quindi il mare a portata di mano, un viaggio breve in vaporetto e con la bella stagione e mi sento già in vacanza, ogni weekend sono al lido.

 

 

Un libro e una canzone con te in questo momento?

Sul tavolo ora i libri di Alvise: L’opera dello spazio di Jack Vance e Tutte le poesie di Tristan Corbière.

Alla radio ora “99 Luftballons” di Nena.

 

 

Il tuo cibo e bevanda preferiti?

Amo tanti cibi, uno di questi il gateau di patate.

Bevanda? W l’acqua. Se devo pensare a vini l’anno scorso mi sono innamorata del Ciù Ciù rosso piceno superiore, ho stressato tutti i miei amici per trovarlo anche a Venezia.

 

 

Dove ti vedi tra dieci anni

Vivo giorno per giorno, non ho mai fatto programmi a lungo termine. Di volta in volta sento quando devo cambiare posto, ambiente, attività e seguo le esigenze del momento, del periodo. Forse tra 10 anni mi vedo ancora a Venezia, perché mi lego al mio intorno e perché anche se la vita mi portasse altrove mi piacerebbe tornare e far base a Venezia. Anzi, spero che la vita mi porti a girare, stare altrove per dei periodi, ma spero di avere e mantenere un punto di riferimento dove tornare sempre.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Che i pesi più gravosi sono affrontabili se si è sostenuti, se i pesi son condivisi, quindi l’importanza in primis della famiglia e poi anche degli amici.

Che ogni paura va affrontata, altrimenti prende sempre più spazio.

L’importanza di badare innanzitutto a sé, al proprio benessere e ai propri obiettivi, perché per quanto prima abbia parlato dell’importanza del “vicino”, è con se stessi che si fanno i conti, è con sé stessi che si rimane ed è su sé stessi che solo ci si può appoggiare per essere sostegno agli altri, se parti tu incrinato, debole, caschi tu con chi vuoi aiutare.

Una risposta a “Antonella, biologa oncologa, Venezia”

  1. Renzo

    Brava Antonella! Complimenti la mamma sarebbe straorgogliosa! Sei proprio in gamba.

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