La fine del mondo era un pomeriggio gonfio di noia,
una coperta troppo corta che non bastava ad un adulto,
era un passato insonne che sbatteva i piedi si rigirava
cercando la posizione perfetta nella mia testa
era un abbraccio tirato a vuoto
la fine del mondo era la ricerca indefessa di divertimento,
in quella festa con tanti bicchieri tante facce e tante voci
era quella spensieratezza inoculata,
era quel persistente bisogno di pace,
passando necessariamente dalle trincee, coi topi che si nutrono di falangi,
la fine del mondo era quella voglia di riscatto
che si faceva strada passando la palla al muro
ritrovandosela tra le gambe e inciampando cadeva
cadeva, cadeva così forte
che non c’era più possibilità di alzarsi
che non c’erano più nemmeno i pavimenti.
L’apocalisse è già passata e noi non ci abbiamo badato,
stamattina mi sono alzato,
ho fatto colazione, ma di questa sottile apocalisse non me ne sono accorto
non ci sono angeli né diavoli,
non si resuscita né si viene mangiati
è un aborto spontaneo durante la pubblicità,
cade dal ventre, cerchi di disfartene coi piedi,
lo sguardo ritorna allo schermo,
il feto rimane attaccato
lascia una lunga scia di sangue uniforme nelle vie dei negozi
nella breve pausa tra un discorso e un altro
“SI RENDE NOTO AL GENTILE PUBBLICO, CHE NONOSTANTE LE AVVERSITA’ DOVUTE A QUESTO PERIODO PARTICOLARE, SIAMO ANCORA TUTTI VIVI”
Francesco Tardio (Italia, 2000)