Una mostra di oltre 170 lavori, scelti tra i suoi e tra quelli di altri artisti (dal Cinquecento ad oggi: da Picasso a Nancy Spero e Roni Horn): alcuni tra quelli viventi li conosce personalmente e li colleziona. E’ Danh Vo che incontriamo anche se siamo misteriosamente scomparsi dalla sua lista di interviste e ci pregano di metterci solo 10 minuti altrimenti nulla. Siamo in un bar luminoso, gioiosamente affollato e rumoroso, quello della Fondazione Pinault (a Punta della Dogana, Venezia), dove la sua mostra cattura ogni spazio dell’enorme edificio storico fino alle celle e alla memorabile terrazza: Slip of the Tongue è imperdibile e magica e dura ancora molti mesi. Se passate da queste parti non dimenticate di visitarla.
La tua storia in dieci righe. Come sei apparso in questo modo su questo pianeta?
Come sono venuto su questo mondo…Mhh, non sono sicuro, spero di essere venuto fuori da mia madre, almeno è questo quello che lei mi ha detto.
Non è solo la tua biografia, cosa senti del cammino che hai fatto sinora?
Passo dopo passo, incontri le cose che poi ti portano in qualche altro posto. Basta attraversare strani snodi, tonnellate di eventi, persone e qualsiasi altra cosa e vieni formato, creando il cammino dove ti trovi ora. Ad attraversare questa terra.
Non lo influenzi un po’ questo cammino – ad esempio, come hai fatto in questa mostra, scrivendo sul pavimento invece che sui muri?
Uso muri o pavimenti, questa volta mi piaceva la grana del cemento del pavimento quando viene accarezzata dalla grafite. E’ classico, in un certo senso, non pensi?
Potrebbe essere, ma potrebbe essere anche speciale. Di certo non è immediato, i visitatori devono cercare questi versi scritti su un pavimento grigio con una matita. E anche se trovi questi versi, sono difficili da leggere e saranno presto cancellati dalle scarpe che camminano sopra le lettere….
Non penso che gli artisti debbano essere servi. Fanno le loro cose e gli altri, in allerta, devono scoprirle e cercarle. Questo è il mestiere del visitatore, non il mio lavoro.
Tu e il visitatore: elimineresti la funzione di luoghi così istituzionalizzati come questo e modificheresti la relazione con il visitatore ed il ruolo dei dipartimenti educativi – pensi sia abbastanza?
No, penso sia un dialogo: il mio lavoro è fare quel che faccio e il suo lavoro è essere conscio e guardare. L’industry – e in questo includo anche dipartimenti educative, testi e quant’altro – tratta i visitatori come degli stupidi. E questo rende le persone ancora più stupide.
Che tipo di piacere provi a collezionare lavori? E’ talmente visibile in ognuna delle tue creazioni che sei anche un collezionista e che ti piace possedere, preservare, accumulare…
Come lo sai? Direi che sono un collezionista impulsivo. E questa è la parte cattiva della storia.
La peggiore e la migliore, possiamo dirlo? Collezioni anche arredi?
Sì, qualcuno.
E’ proprio la natura degli interessi con cui mostri tutti i lavori che hai scelto per questo luogo: armadi, lampade insieme a dipinti e sculture fondamentali nella storia dell’arte, ed ancora nuovi artisti ed infine le tue opera. Tutto questo sembra una casa ideale o un posto perfetto per riposare?
Certo non mi dispiacerebbe avere una casa come questa (ride), la mia non è così!
Qualche remora o paura a essere collezionato?
No, per niente.
I tuoi lavori sono anche in parecchie collezioni in Italia, tra piccole e grandi. Come ti hanno conosciuto?
Sono venuto qui per sedici volte e ora mi trattengo per due mesi. Quindi ho iniziato a conoscere persone e Venezia mi piace tanto….
Hai fatto un gran lavoro a mischiare i tuoi lavori con gli altri in questa mostra per tipologia e quantità ma l’impatto più forte lo ottieni sulla terrazza. Flies on the Jar (di David Hammons, parte della Collezione Pinault) è fantastico. Come mai hai deciso di metterlo lì?
Quel pezzo è molto fragile. Volevo metterlo sul pavimento ma non c’è stato l’ok della sicurezza ma non volevo costruire un piedistallo o una mensola perché l’avrebbero distorto. Quindi dovevamo trovare una mensola naturale e sicura ecco perché si trova lì, l’unico posto fatto apposta per questo lavoro. Mi piace tantissimo dov’è. Se lo avessi messo a terra, di fatto non si sarebbe visto tanto bene mentre lì dov’è c’è una grande provvista di luce naturale e lo vedi veramente bene.
E si sposa bene con la scala gigante della stanza…Qual è il talento che hai e quello che ti manca?
Sono bravo a cogliere occasioni, sì. Mi mancano un sacco di talenti.
Cosa dai alla tua città attuale (Città del Messico) e cosa ti da lei indietro?
Sento di non starle dando niente. Sento invece di abusare della sua bellezza e me la sto solo godendo.
Considerando la Danimarca il tuo stato mentale e di passaporto (l’artista rappresenta la Danimarca alla 56ma Biennale d’Arte di Venezia che inizia il 9 maggio, con una mostra personale che rivoluziona gli spazi, la luce e i percorsi del padiglione situato ai Giardini), come è difficile lavorare lì come artista?
Non lo so, non ci ho vissuto negli ultimi 15 anni, quindi non ne so più molto. Ci ho vissuto per 25/30 anni ma quando ne parlo sembro un vecchio dato che le cose sono cambiate. Ho vissuto anche 10 anni a Berlino e anche lì le cose sono cambiate incredibilmente! E’ quasi lo stesso, quando parlo di Berlino: sembro di nuovo molto vecchio. Qualsiasi città cambia rapidamente e parecchio: guarda a Venezia dopo Easy Jet!
Mi sembri piuttosto apolide…Ero interessata maggiormente al modo in cui riesci ad entrare rapidamente in contatto con la comunità dove decidi di abitare e sulla relazione che hai con i luoghi che attraversi….Che libro hai con te adesso?
Non leggo molto, adesso ho un libro sul Messico per cercare di capire un po’ meglio del posto dove vivo adesso.
Che musica ascolti?
Non ascolto molta musica, del pari…
Scrivi poesie?
No, mi piacerebbe ma poi penso che la gente desideri che non lo faccia. Non scrivo molto in generale.
Cosa hai imparato dalla vita, se hai imparato qualcosa, fino ad ora?
Ho ancora un sacco da imparare. Non ho tempo di guardare cosa ho imparato perché devo guardare avanti. Ad un certo punto, potrei guardare indietro ma non è ancora il momento.
Quale ultima cosa della mostra non sei riuscito a realizzare completamente?
Togliere più lavori, miei e degli altri. Tutto si riduce al ridurre al minino, puoi sempre tagliare più sottile.
Mi dici delle scritte sul pavimento da basso, quelle sul pavimento di cemento?
Sono versi di una canzone dei Xiu Xiu (si pronuncia sciu-sciu, la Fondazione Pinault via Danh Vo ha invitato la band californiana per un concerto, ad ingresso gratuito, il prossimo 5 maggio al Teatrino di Palazzo Grassi perché hanno collaborato parecchio in performance sia in teatri che in musei: tra l’altro Xiu Xiu dedicherà anche una canzone a Danh Vo nel prossimo album).
Non vado mai ai concerti o a cose simili, ma quando alcuni amici mi hanno portato ad uno dei loro ho trovato fosse fantastico, canzoni veramente belle (e dopo sono riuscito a incontrarli). Questa canzone in particolare ha significato molto per me in un momento specifico della mia vita e quindi ho deciso di scriverla sul pavimento (il padre dell’artista l’ha scritta a mano, parola per parola)
Tuo padre è felice del modo in cui crei arte?
No, è felice del mio successo. E’ un artigiano, non è molto interessato in contenuti.
Copertina: Danh Vo, courtesy Matteo de Fina