Giacomo De Stefano, nomade

Tutto il Po (e poi tutti i fiumi europei, da Londra ad Istanbul, sulle tracce della musica). Ed altre esplorazioni – tutte a remi o a vela o sulla slitta, con zero euro di budget – solo gift economy. 

Giacomo De Stefano è un novello esploratore del XXI° secolo che ha lasciato da parte una qualsiasi delle vite che viviamo tutti per dedicarsi all’acqua e alla sua importanza per le nostre vite. Una delle possibili definizioni per quest’uomo è quella del nomade contemporaneo.

Lo abbiamo incontrato in video, sebbene fossimo nella stessa città (la sua Venezia, mai veramente abbandonata) perché lui preferisce così ormai. 

Mettetevi comodi, questa non è un’intervista ed è molto di più di una cup of tea, soprattutto e specialmente se non è la vostra abituale ‘dieta’ di vita.


Giacomo: Che bello quello che fai con il tuo blog, l’ho condiviso sulla mia pagina personale.

Diana: Grazie! Abbiamo tante storie di persone legate all’acqua e più in generale ad uno stile di vita più sostenibile. A me interessava – con questa intervista – anche darti una mano a diffondere le tue iniziative!

Parlami della tua vita in poche righe, tra le Alpi e Venezia. Sei nato in montagna ma sei finito al mare…Mi interessano anche i tuoi primissimi anni.

(mentre parliamo mi mostra un giocattolo cinese a molla: è una barca, regalo di cinesi dopo aver fatto uno dei suoi tanti viaggi lì)

E’ semplice, è sempre legata all’acqua la mia vita. 

Sono nato ad Asti, in Piemonte, dove quando nomini l’acqua ti guardano con sospetto essendo un paese di vino. L’acqua non si beve tanto e ce ne è anche poca nel Monferrato. In cima alle colline non c’è acqua. I contadini, quelli di quando crescevo, non avevano acqua nei pozzi.

Mia nonna era nata in un paesino vicinissimo al Monte Bianco, io sono cresciuto a Courmayeur,  fin da bambino ho amato moltissimo la neve. Ecco perché adesso vivo in Norvegia dove ho il mare e la neve insieme.


Lì vivi soprattutto in un’isola se non sbaglio

Sì, ho ‘avuto’ un’isola in cui più che altro tento di creare un luogo per menti creative. Io lavoro come pioniere, anticipo un po’ la massa critica e poi mi faccio da parte. Come Alex Bellini e tutti i grandi viaggiatori. Io porto avanti, tramando. Non invento e non chiudo nulla. 


Sei un vettore e un convettore

Esatto, mi sento un po’ come l’acqua, che è un vettore. E’ unica e va dovunque anche nei posti più brutti, basta che la lasci scorrere. Anche tu, sei il 70% di acqua. Anche io. 

Se ami l’acqua ami me, ami te, ami tutto.


Peccato che questo non venga ne’ correttamente ne’ coerentemente insegnato. Ci sono pochissime famiglie che educano ad un consumo responsabile di una risorsa così finita (ed anche inquinata peraltro). Torniamo alla tua vita. Vieni a vivere a Venezia e per tutta una prima parte fai una vita normalissima, da architetto.

Sì, soprattutto nel mondo dell’arte e delle biennali. Cose che in un certo senso ora evito molto, non vado più neanche nei musei. 

Vivo ancora con gli artisti, creiamo insieme, ho però imparato a stare distante dall’arte perché l’ho vissuta nella sua parte più divertente e birichina (e forse più creativa) – quella dei mercanti, del suo lato commerciale. 

Fino ai 19 anni, vivendo in montagna, consideravo il mare un posto orrendo, perché collegavo il mare alle spiagge. 

Qui a Venezia un amico a Torcello mi fa scoprire una topetta (una tipica imbarcazione lagunare) e da allora mi compro una serie di catorci di legno più che barche. 

Il vecchio maestro d’ascia Tramontin me ne ha restaurata una quando suo figlio era convinto fosse solo buona per legna da ardere. Lui aveva capito che avevo qualcosa da coltivare. 

Da lì ho iniziato a vogare e poi ho fatto tanti viaggi.

La mia vita precedente era legata anche alla ristrutturazione, sin da quando ero studente facevo negozi ed hotel, andando in giro su e giù per l’Europa. Per caso la società che era venuta a fare il parquet a casa mia aveva visto che disegnavo bene e mi propose di lavorare con loro, ero uno giovane da pagare poco e da far correre come una trottola. 

In quei quattro anni ho anche imparato il lavoro manuale: facendo il direttore di cantiere non riuscivo proprio a stare con le mani in mano. Da lì parte anche un altro dei mie grandi temi, quello dell’economia circolare. 

Poi sono anche quello che, quando ha cambiato vita, è stato premiato con un riconoscimento speciale della Regina Elisabetta in Inghilterra (per Man on the River) ma non sono andato perché avevo preso appuntamento con una piccola radio privata di Maillorca…Sono così snob! 

Tuttavia da quel premio ho fatto più di 250 conferenze in giro per il mondo, la rivista che l’ha organizzato (Classic Boats) era davvero il top, finiva sulle scrivanie dei ricconi che si possono permettere barche importanti. 

Dopo un grande periodo di esposizione mediatica, inizio a vivere nascosto, evito incontri e interviste, non vado più in TV. Tutte cose che, beninteso, nei miei piccoli momenti di fama avevo fatto (anche se la fama è arrivata quando ero già vecchiotto!). 

Il fatto è che non sono mai stato abbagliato da quella piccola fama che si era creata attorno ai miei viaggi, badavo solo e soltanto alle cose importanti.


Tu stesso sei però un produttore audiovisivo, ne hai fatte tante per le tue imprese. Ora che rapporto hai con la divulgazione, anche se non vuoi apparire? Te lo chiedo per il messaggio che stai conducendo, non tanto per la visibilità da far guadagnare alle tue non profit. Credi che la divulgazione ‘sana’ possa essere un buon mezzo per veicolare messaggi di sostenibilità, circolarità e di coinvolgimento personale oppure pensi che le persone guardino solo i social oggi?

Sto ancora analizzando questo anche se sono stato tra i primi ad utilizzare i social con grandi professionisti. 

Ho iniziato – tra i media tradizionali – con Santalmassi e Radio 24 ed il mio viaggio ‘Un altro Po’ (durante i 1000 km by fair means sul Po a remi e vela, teneva dirette giornaliere). Lì ho capito l’importanza dei media, ho iniziato con il GR24 che mi dava tre minuti al giorno ed è stato il media che mi ‘ha messo sulla mappa’.

Quando andavo a Milano o a Roma i tassisti mi fermavano e mi riconoscevano – è una radio che ascoltano soprattutto le persone in transito. 

Tutta questa esperienza mi ha fatto scattare qualcosa!

Il mio primo progetto era nel 2006 e correva con il primo anno di Youtube. Un mio amico me lo mostra, io non conoscevo questo social…ora sembra un’altra epoca….Tu che sei giovane….


Io ho 46 anni, veramente

Caspita, pensavo avessi 25-26…


Sarà che stiamo parlando in video, quindi annulla le rughe e le imperfezioni…

Io mi chiedevo, naturalmente con un po’ di perfidia, la tua attuale posizione sulla divulgazione perché mi rendo conto che noi siamo cresciuti in un sistema di plurimi approvvigionamenti di non per forza breaking news (che vivono il tempo di una farfalla) ed opinioni ragionate e commentate (abbiamo la stessa età) mentre quelli che hanno 25-30 anni (e sono già adulti) no. Sei riuscito a parlare anche a queste generazioni? Per quanto le tue imprese abbiano un che di eroico e probabilmente sarebbero rimbalzate su qualsiasi media, tu le hai scientemente ‘divulgate’. Hai cercato di raccontarle a più pubblici. Oggi ti senti ascoltato dai giovani?

Mi sento ascoltato perché adesso affronto la comunicazione come un vero peer-to-peer. Voglio che sentano la mia ascella, il mio fiato. Solo più direttamente, dal vivo, con pochissime persone. E ho visto l’importanza di questo e la potenza di tornare a questo canale. 

Il grande problema della comunicazione attuale è che è profondamente limitata o manichea. O sei con me, o sei contro di me. Non esiste più un pluralismo dell’informazione. Il contraddittorio è sempre a parolacce o paroloni. 

Noi eravamo abituati alla conversazione al bacaro (i classici bar di Venezia) dove ho avuto la fortuna di incontrare gli studenti che arrivavano dalla Jugoslavia, dalla guerra. Il 60% degli studenti era straniero nei miei anni allo IUAV, c’era un confronto straordinario. Ti trovi con amici che la pensano come te, ma sai come trovare chi la pensa differentemente da te e anche ad essi ti rivolgi. 

Questo è stato poi il segreto dei miei viaggi. Anche se il mio metodo di lavoro odierno è iniziare con una grande esclusività iniziale per poi virare sull’inclusività.

Vedi, ci abbiamo messo un po’ per fare quest’intervista ma ora che parlo con te vedo che i tuoi occhi sono reattivi: non sei solo retinica, sei bulimica come me nella scoperta e già adesso ho una serie di pensieri creativi su quello che potremmo fare insieme!


Sostanzialmente ritieni che con questo nuovo metodo che porta ad un’inclusività selettiva sei in grado di risvegliare non solo le coscienze ma un minimo di aiuto ad idee come le tue, che possono sì praticare con te ma anche da soli e con altri mezzi e modalità…

Se avviene! Appena adesso ho lasciato una guida, che sta percorrendo il Po: un’artista tedesca, è venuta lì nell’Artico dove vivo io sapendo del mio viaggio su una slitta (prima equipaggiata con ruote) da Maillorca a Capo Nord, 7000 km a piedi senza soldi, per chiedermi del Po.

Hai dato un’occhiata anche a Lampedusa Artica? E’ un nuovo progetto che ho portato alla luce con il regista Alessandro Scillitani, che fa di solito film con Rumiz.

Nasce per un caso. Io volevo fare un viaggio per capire come l’oro bianco delle Alpi fosse vissuto a Capo Nord, vengo come sai da una società ottocentesca – di quelle con i pastori! – che viene martirizzata negli anni dal turismo massiccio delle settimane bianche. 

Ho visto, per intenderci, persone che vivevano sottoterra per risparmiare legno, con le capre, d’inverno.

Io sono partito per scoprire cosa avessero in comune questi due mondi che appartengono alla neve anche se così profondamente cambiati e mortificati, almeno dal lato alpino. 

Sai che viaggio senza soldi ma trovo società che producono quello di cui ho bisogno (ad esempio sci di legno tecnologici) per cercare di far sì che per chi si diverte e viaggia possano farlo in maniera onesta, corretta e pulita avendo valide alternative. Pensa ai milioni di sci che vengono buttati ogni anno e sono di materiali non riciclabili? Io lavoro sulle nicchie non sui grandi sistemi. A parte l’acqua.

Comunque, mentre faccio il mio viaggio verso Capo Nord, scopro della storia di alcuni migranti che entravano dal confine tra Norvegia e Russia. E quindi mentre lavoravo con la BBC per fare il film del mio viaggio (viaggiando con i migliori materiali, le migliori aziende del mercato) e rischiavo di morire ogni giorno a 40° sotto zero in una tenda sui grandi altipiani norvegesi mi imbatto in questi migranti che stanno arrivando dall’Afganistan, dallo Yemen – a piedi. 

Ho visto le foto di Alessandro Iovino, un fotografo italiano che poi ho conosciuto e con cui ho fatto anche un progetto sui fiumi che è stato appena pubblicato e presentato a Parigi: loro viaggiano con piccole biciclette vendute a 30 euro, senza freni, per 20 km prima del confine norvegese (i trafficanti russi li lasciano lontano!), li ho intervistati e ho vissuto poi in seguito con quelli di loro che ce l’hanno fatta ad avere asilo in Norvegia.

Ho chiamato tutti i giornali e le tv quando ho accidentalmente scoperto del loro cammino che ha intersecato il mio su quel confine, sai che avevo tanti contatti, ma nessuno ne ha voluto parlare. Solo la RTVE spagnola e la CBS hanno fatto un bel servizio, in Italia non è mai uscita la notizia. 

Da quel confine sono passate 30.000 persone e circa 800 sono mancate, sparite. Io ho vissuto lì per tre mesi dormendo in una macchina abbandonata a 40° sotto zero, con la polizia che mi cercava, hanno poi arrestato Alessandro e diversi amici, mentre i norvegesi hanno cercato di rimpatriare 5000 di questi profughi con ogni mezzo. Alle 3 di notte, contro l’Art. 14 della Convenzione dei Diritti Umani. 

Un sacco di norvegesi ha cercato di salvarli, ma anche lì ci sono persone non troppo buone e se tu lo raccontavi eri un pericolo per loro. Sì è stato uno dei tanti momenti dove ho visto cose brutte. E’ stato molto duro. 

Quello era un viaggio per parlare di materiali della vita e divulgarli, per scoprire e far sapere come svedesi, norvegesi, finlandesi interpretano l’acqua, il ghiaccio e la neve: è cambiato ed è diventato Arctic Lampedusa (era il titolo che aveva scelto la CBS per il suo servizio). 

Il film è quasi finito, manca la finalizzazione audio e la color correction, te lo mando!


Come distribuisci il tuo materiale? Prima lo crei e poi ci pensi oppure succede come in questo caso anche in fieri perché c’era un’urgenza comunicativa di raccontare una migrazione così impervia?

Socraticamente, ora vivo nascosto. Non distribuisco, non comunico più niente, lo mando a pochissime persone. Non posso più contaminarmi anche perché devo scrivere tanti libri. A volte penso di essere diventato un po’ misantropo dopo tutti questi viaggi e vivendo nel profondo Nord.  Quando hai contatto solo con l’ambiente principale della vita – la Natura, il cibo, un rifugio, il calore….


Tutto il resto è ridondante, capisco. 

Certo: come sempre nella vita di una persona quel che era importante non lo è più e viceversa….

La comunicazione per me è ora soltanto quello che accade. Ad esempio il mio nuovo progetto ora è a Skorpa, l’isola norvegese dove vivo e dove cerco di salvare barche tradizionali in legno che i Sami stanno abbandonando. Lì c’è un problema: pescano troppo, si chiama overfishing, e vorrei riportare a pescare le persone con le barche di legno, remando, di nuovo ‘by fair means’. 

Io la comunicazione non la faccio più, adesso arriva attraverso l’esempio. 

Seguo con molto interesse il lavoro di una mia amica, una sami, è la prima donna pescatrice di quel popolo, si chiama Sandra Andersen Hera. Pensa prima del cristianesimo e della pesca massiva, la società Sami era di tipo matriarcale. 

Io sono totalmente transgender: pur riconoscendo certe caratteristiche diverse del corpo maschile  e femminile, non posso pensare a differenze così marchiane messe in campo da una società a deriva maschilista o femminista.


Venezia, Mallorca, la Norvegia e in particolare quell’isola. Perché? Mi interessano gli stadi intermedi di passaggio della tua transumanza

Mallorca arriva perché dal 2005 vivo su una barca di legno. Che ho totalmente restaurato. Ora l’ho cambiata, ne ho una del 1928 che ho del pari restaurato ed era parte di un progetto europeo. Abbiamo fondato Be Water a Colonia con due amici, ora la barca gira il mondo.

Ho vissuto prima a Kos, isola greca. per due anni. Un mio amico mi parla di Mallorca e di una baia dove stabilirmi e le mie due barche (una l’ho venduta da otto anni) mi hanno seguito. 

Mallorca aveva un rapporto strettissimo con Venezia già nella cartografia rinascimentale ed è un centro per la permacultura con cui avevo ed ho un rapporto strettissimo, in particolare per quella polare che è molto dura.

Mallorca è diventato l’incubatore di tutti i miei progetti. Nel 2014 ho preso un vecchio gozzo in legno locale, lo Llaut, ho tolto il motore e ho messo in moto i locali maestri d’ascia per restaurarlo. Uno di essi, che è poi diventato un mio amico, stava per chiudere e ora ha sette dipendenti: un po’ di articoli usciti su riviste da tutto il mondo hanno creato un’economia circolare, i gozzi in legno non vengono più bruciati ma divengono house boats o barche da crociera.


Sei un attivatore di sogni quindi? O delle migliori speranze?

Visionario, un utopico. Siamo persone che si rivelano molto più pratiche e concrete di chi pensa a molto di più. Ti devi aggrappare a una roccia dove nessuno vuole andare, devi diventare un po’ come un lichene per far sì che un po’ di vita nasca… Quando diventi lichene, questa simbiosi mutualistica tra l’alga che sta in acqua ed il fungo fa sì che questo attecchisca, scavi e crei un humus vitale.

Sai com’è, no?


Sì, certo: appassionata di licheni sin dalla scuola elementare. Ma invece volevo chiederti: la Norvegia arriva per un bando a cui hai aderito, o perché questa isola la conoscevi già o per…

Scopro l’isola (e la fattoria quasi diroccata) grazie ad una fidanzata che mi ha fatto soffrire molto, che è arrivata quando io vivevo come un monaco. Non avevo nessuna relazione con donne da tre anni. 

Con la sua gentilezze e bellezza, mi ha aiutato. 

Nel mio campo norvegese ho tre tende tipiche Sami dove ospito persone. 

Lei è svizzera e un po’ calvinista, non ha la flessibilità da bacaro che ci permette di parlare con tutti, non ce l’ha fatta più e ha cambiato posto, si è trasferita ed è andata a vivere proprio davanti a quest’isola. Dove i proprietari di questa bellissima baita di tronchi, dove lei viveva pagando pochissimo, avevano la proprietà che era appartenuta all’ultimo abitante dell’isola. Skorpa in Sami è Skarfu, è al centro di una piccola comunità di fiordi con ghiacciai che si chiama Aloppa, situata tra Tronso e Alta, a circa 400 km a nord del Circolo Polare Artico ma viva la corrente del Golfo! In inverno ci sono otto mesi di neve fino al mare ma non hai i 50° sotto zero che hai nell’interno del paese, il mare non gela mai e il clima è come da noi in montagna.

L’isola ha, inoltre, un microclima incredibile, orchidee incluse, e misura otto chilometri quadrati. E’ un patrimonio straordinario oltre ad essere un centro importante per questo popolo nomade, tra l’altro ho di recente scoperto che forse sono un Sami. La mia famiglia arriva a Palermo nel 1076 e venivano dal nord della Norvegia. In un certo senso è un ritorno. Da parte di mia madre ho origini sefardite ed ebree, poi c’è la Grecia, il Montenegro…

L’ho scoperta per caso questa mia origine Sami, perché ero a Palermo per una conferenza dove ho conosciuto un prete che mi ha portato nella sua parrocchia per guardare documenti genealogici e abbiamo trovato queste tracce. E’ lì che ho iniziato a progettare il viaggio per la Norvegia, era il 2013.


Quindi hai comprato l’isola?

No, io non compro niente, me l’hanno regalata. Io non lavoro con i soldi, non uso i soldi. Faccio tutto in modo diverso. Mi hanno offerto di prendere gratis la casa dell’ultimo abitante dell’isola partito nel 1980: non c’è elettricità ne’ acqua. Ci sono i laghi, però, ben otto. 

Ho invitato Bansky (che un mio amico conosce, ma non posso rivelare l’identità, è piuttosto un collettivo) in occasione della sua opera realizzata a pochi metri dalla mia casa veneziana (che è quella di mia madre) a fare case trasparenti sull’isola insieme ad altri artisti. Ho invitato anche altri tipi di persone ‘di questo mondo’ come benzinai o chiunque sappia fare qualsiasi mestiere per stare in un posto dove connettersi alla natura, alle sue maree fortissime: vivo sull’acqua da 20 anni e so come essa ti possa togliere e dare energia.

Chi vive nell’isola deve tornare a una manualità che qualcuno ha forse dimenticato: lo vedo nel campo norvegese dove sto, le persone si trasformano senza luce o sciogliendo la neve per bere e lavarsi. Arrivano gli alci e i lupi a trovarci. 

Lavoriamo su temi importanti e nascono cose spontaneamente da persone che arrivano da tutto il mondo. Posso ospitare al massimo sei persone, abbiamo fatto un calcolo dell’impatto su quest’area che è grande come l’Olanda ma ha 73.000 abitanti (0.6 abitanti per km quadrato).


Hai letto Knut Hamsun?

Sì certo, uno a caso! Era relativamente vicino a dove sono io, solo 900 chilometri. La casa dove lui andava d’estate era anch’essa senza luce.


Cosa ti serve per questa isola a parte persone in sintonia, io ritorno sempre sulle questioni mondane…

Ho bisogno di materiale isolante più naturale possibile. La barca ce l’ho già, ha più di 100 anni, voglio andare e tornare solo a remi e a vela, ci vogliono due ore o tre per la costa a seconda del vento. Mi serve molto poco, ho coltelli e piatti di legno che ho racimolato in questi luoghi antichi e abbandonati. C’e’ stata una grande migrazione verso il sud.

Mi serve avere delle persone con me. Il primo inverno vivrò da solo, ci sono forti tempeste che ti isolano per settimane e non voglio costringere nessuno. Vento a 50 nodi, tempeste di neve e temperature a -20° anche se l’isola è relativamente protetta essendo in un fiordo. Lì è perfetto per iniziare e finire il mio libro, Man on the River. Da lì d’inverno non c’è modo di partire.


Quando viaggi non mi dai l’idea di una persona che legge costantemente essendo più incentivato alla scoperta e all’incontro ma se ti sentissi ugualmente di consigliare uno scritto od un autore…

Thoreau. E’ un consiglio democratico, relativamente facile da leggere. Taglia tutti gli strati della popolazione, Walden, Life in the Woods, ti dona un concetto di amore semplicità e rispetto anche se non è un libro da visionario. E’ un libro di una persona radicata, attenta. Il paradigma dei miei viaggi è l’attenzione, che richiede impegno e a sua volta attenzione quindi crea un’economia circolare che come sai cerco di applicare. 

Poi un libro bellissimo che ho qui (cerca intorno a sé e mi mostra: David Le Breton, Il mondo a piedi, elogio della marcia)

Ed ancora, un libro incredibile di Beltrami (Breviario per nomadi), si tratta di una specie di breviario fatto di aforismi. Anche Rimbaud diceva che i libri di viaggio dovrebbero avere questa forma: una frase deve essere conchiusa e raccogliere un significato. Magari devi spostare un ormeggio, o muoverti perché sta arrivando un lupo…o semplicemente te la stai facendo addosso perché hai mangiato qualcosa di tossico od una pecora marcia! I libri per viaggiatori sono fatti così. E ovviamente tutti i russi consiglierei….


Anche Brodsky?

Anche lui, sì ma anche i giovani russi. Sai io leggo tutto, soprattutto quando son qui (a Venezia) leggo almeno quattro libri in contemporanea al giorno. Quando lavoro leggo un po’ di meno.


Hai mai pensato di fondare una scuola o qualcosa di simile a un percorso di apprendimento?

Forse sì, ma in fondo lo faccio senza volerlo perché quando le persone vengono a trovarmi condivido tutto, mi trasformo in uno studente e in un insegnante. Non ho mai però pensato proprio a una scuola in senso classico. 

Io ho vissuto un mese con i Tuareg e quando ti incontrano e ci si saluta la prima cosa che ti chiedono è se hai bevuto, mangiato e come è andato il viaggio. Com’è quel pozzo, com’è quell’oasi, il tragitto – insomma la cura per le cose pratiche della vita.

La grande metafisica, la grande poesia dei nomadi nasce dalla poiesis, che significa fare. Non è bella grammatica e bella scrittura. Quello che succede con i social è una grande e vuota estetizzazione. Infatti, ora, sui social non metto più nulla di immagini e video e sto lasciando marcire la mia attrezzatura.

Quando faccio conferenze con i bambini, del pari, non mostro mai immagini – sono subissati e subito si distraggono. Parlo e racconto: li catturo tantissimo solo con la voce! Come la prima mappa che era raccontata, come mi ha riferito un pastore albanese.


Il potere della fabula

Come la costellazione personale della tua vita: se dovessi condividerla o riviverla con te stessa, sicuramente sarebbe meglio narrata. O meglio, altro dalle immagini che ingannano molto.


Certo, è la più antidemocratica delle comunicazioni, quella per immagini. Puoi falsare punti di vista, prospettive, proporzioni, canoni e ogni altro che vuoi

Una delle cose su cui mi sto interrogando molto per Skorpa è come parlare con le persone che verranno e chiedere loro di contribuire a una narrazione condivisa senza farla diventare una ‘marchetta’. O una brutalizzazione dei luoghi. 

Prendi di nuovo Banski, ripetuto all’infinito nelle foto di tutti, anche e soprattutto dopo l’incidente della nave da crociera. Già penso che lui quasi quasi lo abbia ripudiato. Dopo un po’ la ripetizione d’immagine perde il significato stesso.

Io vorrei lavorare invece sulla spontaneità, mi sto interrogando su come le persone che verranno sull’isola potranno raccontare, condividere, donare restando su questo registro. Su come vivere su questo pianeta.


Un podcast non ha immagini e può avere suoni, molto più evocativi del video…

Molti mi hanno parlato dei podcast.


Pensa a tutti quelli che si scambiano forsennatamente messaggi audio sui social…Translando dal mass market a qualcosa di più significativo, secondo me l’audio è ciò che ti porti dovunque tu voglia ascoltarlo, non c’è la cannibalizzazione degli occhi, devi immaginarlo ma se lo arricchisci di suoni significativi del luogo diventa quasi una mappa uditiva. A me piacerebbe e comunque potrebbe esserci uno scrittore nella tua isola che realizza qualcosa da ascoltare non solo da leggere. Ciò che è suono può essere ascoltato in pienezza anche da chi non vede…

Potresti farlo tu, ti posso mandare i suoni…o se vuoi vieni lì!


Sarebbe bello, magari vengo d’estate per la prima volta!

Lì veramente l’inverno è la parte più straordinaria. Hai le balene, per esempio, che d’estate non hai: passano a cinque metri da te e fanno dei rumori straordinari. C’è una mia amica che tutti i giorni fa il bagno e mi sta insegnando a entrare in acqua (io sono assai freddoloso!): le balene ti nuotano vicino. Sono animali incredibili e sto imparando a conoscerle, come le aquile che vengono sempre a trovarmi a casa, lascio loro dei pesci. Sono alte un metro e venti e la loro apertura alare è anche di quattro metri. Poi le alci, che sono straordinarie, non hanno quasi paura dell’uomo, non essendocene tanti.

L’unica cosa tremenda sono le zanzare.


Sai che lavori sull’elemento – l’acqua – per cui si sono combattute più guerre in assoluto. Vedo che in tutte le tue esplorazioni, in realtà difendi l’acqua da altri punti di vista e non metti mai l’accento sul rapporto tra acqua e guerra…

Forse perché sono assai severiniano, anche se penso che il mio istinto sarebbe quello dell’angelo sterminatore. Noi non è che siamo in errore, siamo l’errore! In fondo queste guerre sono state causate dalla nostra stupidità. 

Il genere umano non è nato per essere stanziale ma nomade. Quando siamo diventati stanziali, abbiamo creato l’agricoltura, il più grande errore dell’uomo – che si accompagna tristemente con la tentazione per l’abbondanza, il recinto e da lì le guerre, l’odio, gli eserciti, il plusvalore, l’ingordigia. I nomadi no, fanno solo scaramucce e applicano la più grande arte dell’uomo, la fuga, quando occorre. 

Un leone scappa da un piccolo animale che se lo morde gli fa prendere un’infezione mentre l’uomo è stupido e affronta anche battaglie perse in partenza.

L’acqua è quella che è arrivata con una cometa, tutta insieme, su questo pianeta. 

Quando bevi l’acqua prima di te qualcuno l’ha bevuta e pisciata almeno sette volte. 

Il concetto di acqua è legato a una condivisione, è logico che scateni delle guerre ma basta spostarsi. 

In un momento difficile di siccità in certi luoghi, come ad esempio in Sudan, se resti devi combattere non solo con altri uomini ma anche con animali.

Una persona furba si sposta, ecco perché non mi occupo del rapporto tra acqua e guerre e non ci penso. Le grandi migrazioni accadono per questo, non solo per l’agricoltura ma anche per l’esplosione demografica! Tornando ai nomadi, non facevano tanti figli ad esempio. 

Io non credo che vivrò tanto, il mio fisico è talmente provato tra fratture e sovraccarico di polmoni! E questo è molto importante, data la limitatezza del pianeta.

Io vivo in mezzo a 200 husky, un vecchio cane viene ucciso dai più giovani perché soffre e perché toglie cibo agli altri, oltre che rappresentare un pericolo per sé e per il branco. 


La storia di Giacomo ci è stato suggerita da Pascal Cariou, altra persona di questo mondo che vi abbiamo presentato negli scorsi anni. 

L’immagine di copertina è di Julieta Rudich.

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