Giacomo Ravagli, 32 anni, inizia a scolpire all’età di 18. Non sceglie un’istruzione accademica o specializzata, decide di andare a bottega dai maestri e dagli artigiani di Pietrasanta (LU), cuore estrattivo e distretto produttivo mondiale del marmo (insieme a Carrara) nella sua regione di nascita, la Toscana.
Il suo primo mentore, Sergio, aveva oltre il doppio dei suoi anni. Gli ha insegnato tutto quel che sapeva senza parole. Si limitava a mostrargli come fare, perché il marmo produce polvere e rumore: parlare è difficile, forse superfluo secondo Sergio. Basta guardare, provare e riprovare, per imparare piano piano a forgiare, domare l’elemento.
Annegati nella luce naturale del giorno, da quando sorge il sole a quando tramonta.
Per dieci anni Giacomo Ravagli lavora dietro le quinte – sullo sfondo il paesaggio lunare delle Alpi Apuane – producendo lavori, soprattutto di grande formato, per artisti di rilievo internazionale (da Pietro Cascella a Knut Steel, da Nelly Sarmiento a Louise Bourgeois) e acquisisce grande abilità stilistica nel settore dell’arredo, del gioiello e del design grazie a commissioni per collezionisti privati. Interrompendo il suo corpo a corpo con la pietra, nel 2008 si sposta a New York dove collabora come interior designer e decoratore. Dal 2010 decide di mettere da parte la scultura artistica e intraprende la carriera di designer.
Barometro Lamps è la sua prima collezione ufficiale, acquisita in esclusiva nel 2011 da Nilufar, la più importante galleria italiana di design limited edition, nelle sue Edizioni: in setting e pezzi differenti, è stata in mostra al PAD e subito dopo al Fuorisalone di Milano poi è stato presentato e venduto allo stand della galleria a Design Miami|Basel. La collezione ha viaggiato il mondo, da Londra a Torino, dagli Emirati e di nuovo in Francia.
Dopo questa fortunata “prima”, Giacomo continua a fare il designer e si cimenta anche su pezzi di metallo, da ultimo ha prodotto una collezione di luci modulari, Tunisia. Non ha abbandonato il marmo: con quello riciclato dalle discariche ci ha fatto una collezione di arredi (Alpi) e con quello pregiato una serie di tavoli e console che esaltano il perimetro (Home Around a Void).
Le parole che seguono sono state raccolte sul finire del 2010 in una chiacchierata durante una tempesta in Toscana e sono anche la sua prima intervista ufficiale. A quel tempo Giacomo aveva 29 anni. Oggi le Barometro sono arrivate fino alla Triennale, dove il nuovo allestimento del museo del Design dedicato all’autarchia, si è inaugurato il 3 aprile in tempo per il Salone del Mobile 2014. E’ possibile vedere il making of di Barometro qui.
Come è nata l’idea di diventare designer?
Piuttosto naturalmente: peraltro non avevo pensato a questa professione prima, avendo un background artistico. Ho semplicemente seguito una serie di opportunità che si sono presentate nella vita, ma anche nel lavoro: così il design ha acquisito il senso che ha ora. Disegnare e fare a mano elementi di arredo è stato all’inizio un lavoro come un altro per far soldi e mantenermi mentre vivevo a New York. Poi, solo dopo, ho cominciato a trarne piacere. E a divertirmi con questo tipo di creazione.
Barometro Lamps è la tua prima collezione. E’ difficile ideare e produrre, interamente a mano, una lampada. Come è nata l’idea? Come prepari il bozzetto? Come hai scelto i materiali? Quanti pezzi hai preparato per le fiere internazionali a cui sei stato invitato?
Ho cominciato a pensare di realizzare una collezione di lampade a New York: avevo incontrato un gallerista noto nel settore (Paul Johnson, Johnson Trading Gallery) che aveva bisogno di lampade e per questo ho iniziato a cercare un modo per mettere insieme la mia lunga esperienza di scultore con una nuova idea per un complemento d’arredo.
Ho lungamente ricercato materiali e fonti per arrivare ad una conclusione creativa che m’appagasse, poi, a dicembre 2010, ho cominciato a lavorare sui materiali per realizzare gli oggetti. Infatti, se non lavoro per aziende oppure se non devo delegare ad altri l’esecuzione del lavoro, non faccio mai disegni preparatori e preferisco lavorare direttamente su marmo. Oppure, talvolta, realizzo piccoli modelli in carta o gesso giusto per appuntarmi l’idea.
Mi piace scoprire il lavoro che viene fuori durante il processo, mi piace lasciarmi ispirare dai materiali e dalle loro proprietà. Certo, occorre essere flessibili se, come me, si decide di lavorare in questo modo: esprimo il meglio di me quando ascolto semplicemente la direzione sottile verso la quale sto andando oppure dove posso andare. Senza fretta, senza abbozzare o prevalere sulle cose: amo andare alla velocità che consente alla creazione di venir fuori nella sua interezza. Mi sento molto meglio se lavoro così. Alla fine penso che ideare e creare nel design sia tutto legato al problem solving. Come, per esempio, è il caso delle Barometro Lamps.
All’inizio non avevo tanti soldi da investire per le materie prime (il marmo è molto costoso) e ho deciso di lavorare con alcune rimanenze di rosso levanto che mi erano avanzate da una precedente collezione. Quello che ho fatto è stato dare una forma razionale ai pezzi irrazionali e assai irregolari, poi li ho levigati e puliti fino a farli sembrare dei diamanti. Per i paralume in rame, ho deciso quale forma dare loro giocando all’infinito in un rapporto di proporzione aurea con le basi in marmo. Così facendo, ho dato alla luce, in questi due mesi, 18 pezzi che si divideranno tra le varie mostre mentre due resteranno prove d’artista.
Prima di Barometro, quali altri oggetti hai prodotto?
Nessuno: è la mia prima collezione di design.
Che relazione hai con il marmo? E con le altre pietre? Che tipo di materiale scolpiresti per ottenere oggetti d’arredo se rinascessi?
Il marmo è un materiale nobile, qualcosa che devi profondamente capire ed amare. Ti insegna tantissimo: immaginazione, pazienza e determinazione. E fegato. Credo soprattutto che il marmo sia coraggio: bisogna essere audaci, sorprendenti. Occorre abbandonare le proprie inibizioni per prevalere sul marmo per modificarlo, addolcirlo, mortificarlo, perfino ucciderlo. Lavoro anche con altri materiali ma preferisco il marmo perché è più versatile se paragonato al granito, ad esempio, o all’onice. Mi piace fare arredi in marmo e quindi, sì, se ricominciassi daccapo lo farei ancora con il marmo.
Qual è il tuo prossimo progetto?
Uscio fasullo, una tenda composta di piccoli pezzi di marmo. Il progetto è davvero funky: coloratissimo e a tratti kitsch. Assomiglia alle vecchie tende di plastica che mia nonna aveva sull’uscio, specialmente in cucina, per non far entrare le mosche. Il titolo viene da uno scritto di Bruno Munari. Posso solo dire che è un progetto molto funky, coloratissimo ed un po’ kitsch. E’ la riduzione in marmo delle perline di plastica che si mettono sull’uscio a mo’ di tenda per non far entrare le mosche, come usava mia nonna. Sono sicuro che i bambini l’ameranno!