Eraldo (Affinati) ed Anna Luce (Lenzi): la vostra vita prima della scuola di Penny Wirton?
Ci siamo laureati entrambi su Silvio D’Arzo, autore del romanzo da cui prende il nome la nostra scuola. La vera esperta darziana è Anna Luce Lenzi, ben conosciuta dai critici che si sono occupati dello scrittore reggiano. La nostra formazione è letteraria, ma abbiamo sempre avuto una forte predisposizione pedagogica che ci ha spinti a fondare questa scuola per immigrati.
E dopo l’impegno che avete intrapreso ormai 5 anni fa?
Ormai quasi dieci anni fa! Adesso ci sentiamo responsabili di tante persone che, ugualmente appassionate, decidono di insegnare la lingua italiana ai ragazzi migranti. Abbiamo la sensazione che questo impegno di gratuità possa stimolare le risorse migliori del nostro Paese.
La Scuola di Penny Wirton è nata e si è gemmata in varie città italiane con lo stesso modello di scuola aperta e senza classi per insegnare l’italiano di base a stranieri, in forma volontaria e gratuita, oppure aiuta chi lo comprende e lo scrive già a migliorarlo. Cosa vi ha ispirati, quanti centri, docenti e ‘studenti’ avete ad oggi?
In questo momento contiamo venticinque Penny Wirton sparse per l’Italia. Abbiamo centinaia di studenti e volontari. Per chiunque voglia approfondire e-o collaborare consigliamo il nostro sito: www.scuolapennywirton.it
Se gli studenti vi chiedono dei romanzi da leggere per affinare la loro relazione con la nostra letteratura – o dei poeti – ci svelate i vostri preferiti?
I nostri studenti sono spesso analfabeti nella lingua madre: ragazzi che non hanno mai tenuto una penna in mano, quindi per loro la lettura è solo la stazione finale dell’apprendimento. Tuttavia abbiamo anche persone istruite. In quel caso indichiamo testi facili e scorrevoli. Ce n’è uno, ad esempio, di Hans-Georg Noack, intitolato Benvenuto, tradotto dal tedesco da Anna Luce per l’editore Gallucci, che si presta molto, anche perché racconta di quando gli emigrati eravamo noi italiani.
Identikit del collaboratore tipo, dove vi cerca per prestare la sua opera e cosa desiderate porti in dote?
Abbiamo due tipi di volontari: il pensionato, non sempre ex insegnante e il giovane studente italiano che svolge con noi l’alternanza scuola-lavoro. Vedere il ragazzo italiano che insegna la nostra lingua al suo coetaneo immigrato è forse la cosa più bella. Ogni volontario è spinto da una motivazione diversa: sociale, religiosa, politica, esistenziale. Tutti si ritrovano nel medesimo gesto. Ognuno porta se stesso, la propria sensibilità, il proprio carattere, il proprio mondo. Quando torna a casa è sempre arricchito dal punto di vista umano e culturale.
Tra i vostri docenti spesso figli d’immigrati della seconda generazione e tra i vostri studenti anche minori non accompagnati che sono arrivati in Italia. L’insegnamento della lingua è una chiave universale che significa soprattutto accoglienza ed inserimento?
Imparare la lingua, come sapeva Don Lorenzo Milani al quale ho dedicato il mio ultimo libro intitolato L’uomo del futuro, è tutto: significa diventare adulti, imparare a pensare, scrivere, vivere. Attraverso l’insegnamento della lingua anche noi italiani possiamo sperimentare la vera integrazione che non può ridursi alla pura elargizione del servizio, ma deve basarsi sulla qualità del rapporto umano.
Pregi e difetti del vostro metodo?
Non vogliamo fare semplice intrattenimento. Per questo utilizziamo due volumi che abbiamo scritto proprio per i migranti: Italiani anche noi, entrambi pubblicati dal Margine. Libro rosso e libro blu: tanti esercizi, poca grammatica, molti disegni. La nostra fragilità, del resto voluta, è legata al fatto che, non avendo finanziamenti, tutto potrebbe finire da un momento all’altro. Per fortuna tanti ci chiamano e vogliono lavorare gratis!
Cosa importereste qui che non c’è già nel variegato mondo della coesione e promozione sociale?
La serenità e l’armonia vanno conquistate giorno per giorno: questo lo sanno tutti. Bisogna avere in testa un sogno e tenere la barra diritta perché ci sono anche quelli che remano contro. Ma quando arriva il piccolo Mohamed tutto passa e noi ci rimettiamo al lavoro.
Un talento che avete, uno che vi manca?
Il talento, come Penny Wirton, è quello di essere rigorosi e flessibili al tempo stesso: ogni lezione viene registrata e ogni presenza comunicata la sera stessa. Ci manca l’esperienza istituzionale e amministrativa, infatti abbiano sempre avuto difficoltà a trovare spazi adeguati alla nostra azione sociale. Ma ci siamo arrangiati grazie all’apporto di tante persone straordinarie.
Una cosa bella capitata di recente alle vostre scuole, una a voi sul piano più personale?
Il sorriso dei nostri alunni è il compenso migliore: quelli che vorrebbero venire tutti i giorni. Uno spettacolo incredibile per noi insegnanti. Come se Pinocchio, invece di vendersi l’abbecedario, te lo chiedesse in dono. Alcuni ragazzi afghani lo fanno e rendono vive le parole di Malala Yousafzai (giovanissima attivista pachistana recentemente insignita del Nobel, ndr) quando disse che un libro e un insegnante possono cambiare il mondo.
Cosa avete imparato, sin qui, dalla vita?
Che devi restare con le tasche vuote. Se vuoi conservare qualcosa, sei destinato a perderlo.
Quest’intervista, a cura di Diana Marrone, è stata commissionata dalla Fondazione Easy Care per l’Osservatorio dei ‘Social Cohesion Days’, sul cui blog Slow Words cura, in lingua italiana, una rubrica mensile fino a maggio 2017 (quest’intervista è apparsa a novembre 2016).
Una risposta a “La Scuola di Penny Wirton”
fabrizia mnanuicardi
Grande creazione per il nostro paese – La Scuola Penny Wirton di Annaluce Lenzi ed Eraldo Affinati. Ricordiamo sempre l’amato Silvio D’ARZO/ Ezio Comparoni di Reggio Emilia.
Fabrizia Manicardi – fabrizia.manicardi@gmnail.com