10 anni in Italia, di cui otto a Venezia. Per amore della cucina e dei sapori italiani.
Un percorso tutto in salita, autodafé, per questo cuoco giapponese. Iniziando da un corso di lingua e senza alcuna esperienza precedente del paese. Primo grande viaggio, primo grande trasferimento.
Questa è una vera e propria storia d’amore. Tra un ragazzo e una cultura che non è la sua.
La tua vita: da dove inizia? Come nasci, dove vivi e cosa ti porta a fare le scelte che hai fatto?
Sono nato in Giappone, in una città che si chiama Okayama. E’ una città piccola, non c’è niente. Però ci sono il mare e le montagne. La nostra città è famosa per gli ottimi prodotti ittici: ostriche, piovra, canoce (lo dice proprio in veneziano, si riferisce alle cicale di mare)…Anche le schie, come quelle di Venezia. Mia madre e mio padre hanno condotto un piccolo bar, per farti capire ti direi che era come un sake bar: dove bere e mangiare piccoli piatti di pesce fresco cucinato ogni giorno.
Naturalmente anche io amavo il cibo e mangiare …e quindi ho deciso di imparare a cucinare.
Quanti anni hai? Fratelli, sorelle?
35. Fratello e sorella, tutti e due maggiori.
Mio fratello abita a Tokyo, lavora in un ufficio della Hitachi e quindi appena torno lì mi porta in un sacco di posti a mangiare. E paga lui (ride!).
Il Giappone, Tokyo in particolare, è il posto con più chef stellati al mondo…
Sì è vero.
A parte le stelle e gli chef, in Giappone ho trovato qualità e dedizione, cura in tutto. Anche nel caffè filtrato nel bar sotto casa sebbene fossi lì soprattutto alla scoperta di tè.
Sei l’unico in famiglia ad aver seguito la vena della ristorazione?
Prima pensavo, quando papà e mamma sarebbero andati in pensione, di prendere il loro posto al piccolo bar. Poi, dopo il liceo, ho scelto di studiare cucina e sono entrato in una scuola che da noi dura due anni. In Giappone è un po’ diverso in questo da voi, ad esempio.
Dopo sono entrato subito in un ristorante a lavorare. All’inizio ho imparato cucina giapponese: ogni piatto (pesce, carne, dolci). Noi quando impariamo, impariamo tutto anche se ci sono anche da noi delle ‘specialità’ come ad esempio sushi, tempura. Io ho imparato tutto, dal pesce crudo al risotto.
Potresti guadagnare un sacco di soldi con un sushi bar qui a Venezia (manca tra le altre cose), ci hai mai pensato?
Certo ma purtroppo mi sono innamorato della cucina italiana…
Quando ero in Toscana, appena arrivato qui in Italia, mi sono innamorato delle interiora di vacca in panino condito con salsa verde (è di origine piemontese, la variante toscana aggiunge anche il peperoncino quindi è ‘piccantina’: prezzemolo, sale, acciughe, aglio, capperi, aceto). Mangiavo questo tutti i giorni.
I Giapponesi amano piatti robusti di carne, sarà il clima freddo..
Non è freddo, è come qui: i due paesi sono alla stessa latitudine più o meno, quindi ad esempio troviamo lo stesso pesce (cambia a seconda del tipo dei fondali, ovviamente). Quel che è diverso è il suo trattamento. In Giappone ogni ristorante mette i pesci nelle vasche grandi, il cuoco li ammazza davanti ai clienti, al momento, secondo la loro scelta.
Sulla carne, la cultura tra i due paesi si somiglia molto. Anche noi mangiamo tutto degli animali inclusi naso faccia e zampe, interiora – come qui in Italia.
Dopo due anni di scuola alberghiera e dopo il lavoro al ristorante di cucina giapponese lì per quattro anni…
Mi sono accorto che mi piaceva la pasta!
Ogni giorno libero dal lavoro, di solito la domenica, andavo sempre a mangiare italiano…E alla fine sono entrato in un ristorante italiano. Ho lavorato a Kobe, nella mia città e poi a Hiroshima.
Dopo mi è venuta voglia di imparare davvero la cucina italiana dove nasce. Qui.
Sono arrivato a Firenze, non conoscevo la lingua e quindi mi sono iscritto alla scuola di lingua (il suo italiano è ottimo, a tratti con inflessioni tosco-venete). Per due mesi ho imparato tutto quello che potevo, visto che parlavo pochissimo inglese e di italiano sapevo solo buongiorno/buonasera, grazie, ciao. Ho affittato una stanza da una signora italiana, pensa quando mi ha spiegato come si usava la lavatrice non ho capito nulla e siccome non volevo romperla ho lavato per due mesi a mano.
Non capivo bene come fare a prendere i bus e allora camminavo ogni giorno per 5 km per arrivare a scuola, sia per andare che per tornare.
Avevo, allora, 26 anni: l’Italia è stato il mio primo viaggio. Avevo anche tanta paura degli stranieri. E fumavo, all’epoca. In Giappone nessuno mai chiede una sigaretta per strada mentre qui tutti le chiedono ma allora non potevo immaginarlo.
Appena sceso in stazione un signore, forse un homeless, mi ha chiesto tendendo una mano una sigaretta ma allora non avevo capito. Pensavo stesse male e allora gli ho dato due pacchetti di sigarette. Poi ne arriva un altro e ancora un altro e ancora un altro….Dopo vari pacchetti di sigarette andati, ho imparato a dire ‘sigaretta finita’.
Dopo un mese di scuola italiana, ho cercato di lavorare: ho bussato a molte porte, scritto su un foglio che volevo lavorare. Ho trovato all’inizio un lavoro in un bar che non aveva chef, quasi gratis – il proprietario era un marocchino molto simpatico. Quando mi chiedevano di comprare melanzane, io portavo banane perché avevo ancora problemi di lingua. Insomma, ho iniziato da zero pur avendo una qualifica completa nel mio paese.
Oggi, per i giapponesi che arrivano alla stessa scuola di lingua che ho frequentato io, le cose sono molto cambiate: vengono introdotti a qualche ristorante. Dieci anni fa non erano così organizzati e quindi tanti di noi bussavano alle porte…
Cosa facevi per scegliere il ristorante a cui bussare? TI affidavi a recensioni di altri?
Non pensavo a niente del genere. Solo coraggio per arrivare. Non ho studiato neanche quali fossero i ristoranti famosi prima. Prima ho pensato ad arrivare.
Il primo ristorante in cima ai tuoi sogni dove avresti voluto lavorare a Firenze?
Conoscevo l’enoteca Pinchiorri, tre stelle Michelin, uno dei più cari d’Italia (un menu degustazione costa 350 euro). La lista dei vini, soprattutto di quelli rossi, è un libro grande come un elenco telefonico. 150 pagine. I bianchi, 80 pagine; le bollicine 50 pagine. Anche la lista delle acque minerali è lunga.
Sono stato una volta lì a mangiare, da solo. Quando vado agli stellati vado da solo, devo concentrarmi. Vado per studio pagando un sacco di soldi e devo approfittare. Quando mangi da solo, si capisce che sei un cuoco e quindi i camerieri cominciano a parlare. Se dentro lavora un giapponese, mi presentano e magari dopo pranzo riesco ad entrare in cucina e fare amicizia. Ecco perché preferisco andare da solo.
Non pensavo fosse così democratico il mondo della cucina. Quindi sei andato da Pinchiorri sperando di lavorare lì?
Non aveva posto purtroppo: lì mandano curriculum da tutto il mondo. Sono invece riuscito ad entrare in un altro ristorante famoso, 10 anni fa aveva una stella Michelin: si chiamava Tenda Rossa, 15 km da Firenze, verso Siena. E’ in una piccola cittadina dove non c’è niente tranne un piccolo bar e un piccolo supermercato, oltre a questo ristorante che è molto conosciuto. E’ a conduzione familiare: lo zio è padrone, la zia è capocuoca, suo figlio è pasticciere, la cognata si occupa di primi piatti, la nonna lava i piatti. Vivevo sopra al ristorante. Sono stato lì un anno e mezzo. La loro era cucina creativa: oltre la la bistecca fiorentina, il fritto di cervello con carciofi fritti, il risotto di agnello o l’agnello intero arrosto. Anche pesce, tanto. La Toscana è per lo più un posto di carne. E’ stata una bella esperienza, un’altra cultura.
La carta dei vini è un ‘territorio’ importante su cui lavorare in maniera eguale come con il cibo?
E’ fondamentale. Se non c’è un sommelier, scelgo io. Anche dove lavoro ora (Enoteca ai’ Artisti) prima c’era l’80% di vini alla moda per i turisti e un 20% di vini alla moda naturali. Ora invece siamo arrivati al 50-60% di vini naturali al di fuori delle mode. A me piace molto abbinare tutto quel che è naturale: dal pesce pescato alla verdura e alle farine e polenta biologiche, all’insalata di Sant’Erasmo. Quindi anche il vino deve rispettare questa logica. Mi piace che le persone si sentano non solo bene ma meglio con lo stomaco dopo aver mangiato e bevuto da me. Lo vorrei anche per me, questo, come non posso volerlo per altri?
Come fai a convincere della scelta di vini naturali? Non è facile oggi…
Non dico che tutti i clienti debbano preferire i vini naturali, io li consiglio così come consiglio gli alimenti, poi sono loro a scegliere. Oggi, poi, ci sono tante intolleranze ed allergie alimentari per non parlare delle diete come quella vegana.
Il cliente paga e quindi decide: nel mentre li ringrazio della preferenza, li contraccambio con una linea ed una filosofia per il loro benessere.
Dopo la Tenda Rossa cosa hai fatto?
Ero quasi al verde, avevo finito tutti i risparmi che avevo portato dal Giappone. Ero in stage alla Tenda Rossa, mi sono spostato in una piccola osteria in centro a Firenze, Bocca Negra, più di quantità che di qualità. Un’unica cucina per osteria, pizzeria, ristorante. Lì si trattava di fare numeri ma i colleghi, tutti giovani, erano straordinari. Mi mancava molto il contatto umano e di conseguenza un ottimo sviluppo della lingua italiana anche se avevo imparato a cucinare. Quindi alla Bocca Negra finalmente l’ho ottenuto anche perché avevamo fatto gruppo, uscivamo tutte le sere dopo il lavoro e le domeniche andavamo a fare picnic o a pescare. Con questi ragazzi ho veramente parlato la lingua italiana. Leggo i giornali e i libri ma ancora non riesco a scrivere. Non erano tutti italiani i miei colleghi, c’erano tedeschi marocchini inglesi…
E con i dialetti italiani come ti sei trovato?
All’inizio ho avuto molti problemi in Veneto.
Avendo imparato l’Italiano in Toscana, il dialetto di quella regione era simile.
Sono stato brevemente anche a Taormina, Sicilia, e anche lì il dialetto era complicato; poi sono stato anche a Milano e a Bologna.
Se non avessi trovato lavoro a Venezia avrei amato forse risiedere in Emilia: a Bologna, a Parma. Per me quei luoghi significano profondamente Italia. Parlo anche del paesaggio.
A Venezia per la prima volta ho lavorato all’Oliva Nera, che si trova vicino al ristorante Remigio, vicino alla Croce di Malta e a Sant’Antonin. Le prime volte quando facevo la spesa al mercato di Rialto non capivo nulla di quel che mi dicevano, ad iniziare da come pronunciavano i giorni della settimana (Lune, Marte, Venere…li enuncia in perfetto dialetto veneziano!).
Quanti dei tuoi clienti – o in genere persone che affermano di amare la cucina, non solo giapponesi o italiani – capiscono che si inizia a cucinare il pesce al mercato?
I giapponesi sono molto bravi a scegliere il pesce. Non è solo una questione della famiglia che ti insegna, da noi ad esempio a scuola si fa molto. I bambini, sin da piccoli, sono impegnati a pulire, a preparare e servire il cibo e a riordinare ogni giorno: dalle classi ai bagni. E poi i familiari – tra zii, nonni, e altri – raccontano sempre le loro tradizioni.
I convenience store o i MacDonald oppure la possibilità di mangiare junk food a tutte le ore: questi sono i responsabili della distruzione della cultura alimentare. Quando eravamo piccoli, oltre alla tradizione (o alla scuola o alla famiglia che, mi rendo conto, sono diverse in ogni paese) dovevamo mangiare ad orari precisi ed avere rispetto della cucina senza lasciare nulla nel piatto. Oggi mi spiace che i giovani stiano perdendo questi valori.
Tanti clienti sono infatti ignoranti, purtroppo. Forse i genitori non hanno insegnato …dobbiamo essere noi a insegnare la cultura alimentare. E a fidarci meno del supermercato dove trovi il cibo già pronto, andando di più ai mercati dove occorre improvvisare lì con quello che si trova e ancora una volta quando poi si è a casa.
Io ho iniziato ad imparare allora dai miei genitori e continuo anche ora.
Tornando a Venezia, che ormai è la tua città di elezione da 8 anni, cosa pensi di dare come cittadino e cosa pensi che ti dia, ti restituisca in cambio?
Credo che Venezia stia cambiando e abbia urgente bisogno di mantenere la sua cultura. Quando sono arrivato qui c’erano tanti locali tradizionali, alcuni addirittura sono diventati oggi dei Burger King. Mi spiace molto anche che alle spalle di San Marco ci sia Chinatown dove c’erano tanti bei locali prima. I ristoranti e le osterie in genere facevano piatti antichi, ora invece si sono livellati allo stesso livello con menu per turisti. Chi lo fa ancora il risotto di go (un pesce da fondale sabbioso, il ghiozzo)?
Io, ad esempio, a casa mia!
Secondo me occorre mantenere questa cultura. Non vendiamo tutti i locali ai cinesi, occorrerebbero un po’ di regole altrimenti la città è Chinatown non più Venezia. Io, ad esempio, amo la cultura veneta e ricerco una antica ricetta e la propongo ogni tanto. Come cittadino cerco di mantenerla viva con il mio modesto lavoro. Cosa ricevo in cambio? Non so, è ancora troppo difficile per me rispondere a questa domanda.
Io ad esempio vorrei un po’ più di cultura, non solo quella importata dalle mostre e dalle Biennali. Mi manca la musica, le band locali ed in genere la musica dal vivo etc..e tu cosa pensi?
Io penso sempre che sia fondamentale mantenere la cultura locale, fare una città per abitanti e non per turisti. Tutti i giovani Veneziani ed in genere gli Italiani vanno via e li capisco: è difficile vivere qui, tante tasse e lavoro che manca, case in affitto molto care se si trovano…Tutti affittano per turisti, si guadagna di più lo capisco ma servirebbe una legge per tutelare gli italiani!
Quando tu non cucini per i tuoi ospiti o per i tuoi amici, cosa mangeresti per te e cosa berresti?
Cucina giapponese. Adoro lo spiedino di pollo alla griglia, lo yakitori. Puoi scegliere ogni parte del pollo per farlo: coscia, petto, fianco, cuore, interiora…Io preferisco la coscia e la sovra-coscia od il collo, molto gommoso ma quando lo mastichi ti dona tanti gusti. Se in futuro potrei avere un mio locale qui a Venezia farei solo cucina tradizionale…
Ora qui bevo solo vino, è cambiato il mio gusto. Mangio ogni giorno pasta e cucina italiana quindi bevo vino. Anche il sakè ci potrebbe stare, ma il vino è meglio. Sono un gran bevitore di vino. E la mattina mangio brioche e bevo l’espresso amaro (rigorosamente Caffè Giamaica, che è in un po’ di posti come il ristorante Quadri degli Alajmo ad esempio dove ho lavorato, all’Aciugheta, al ristorante la Cantina su Strada Nova).
Questa miscela è speciale, viene abbinata a una macchina tutta sua e viene un signore da Verona a controllare per verificare che venga servito a dovere. E’ un caffè straordinario da gustare rigorosamente amaro come si dovrebbe in genere, pulisce tutta la bocca. E costa come gli altri, 1 euro o 1.20.
Da quanto tempo lavori all’Enoteca Ai Artisti?
Due bellissimi anni. Finisco ad aprile e poi apro un posto mio grazie a dei finanziatori, si troverà poco prima di arrivare all’osteria La Zucca nei pressi di San Giacomo dell’Orio (San Stae).
Si tratterà di un ristorante italiano con filosofia giapponese e aprirà tra aprile e maggio.
Sono muri antichi: una volta – più di un secolo fa – era un affumicatore ed è stato anche un’osteria.
Al momento niente sushi. Ti faccio un esempio: crema di funghi con calamari scottati sporcati con una polvere di alghe e semi essiccati…Hai presente la tempura? Noi aggiungiamo sempre un brodo per l’intingolo. Non voglio usare dashi o salsa di soia ma se ad esempio faccio tempura di canoce farò un brodo ottenuto dal biscuit (il carapace) di canoce. Mi piacerebbe sperimentare con gli spaghettini freddi, la soba.
Non sappiamo ancora come si chiamerà, i lavori sono in corso. Mi piacerebbe osteria al fumo o dei chiodi, visto che tutto il soffitto è costellato dei vecchi chiodi per appendere il cibo da affumicare. Il locale a fianco, che abbiamo del pari preso, si chiamava l’Osteria Ai Foresti e aveva anch’esso oltre 100 anni.
Qui è molto difficile comprare un ristorante, la licenza di osteria con canna fumaria per la cucina ha dei prezzi altissimi. Ho accarezzato a lungo il sogno di aprire un posto mio ma non sono riuscito fino a quando ho trovato un finanziatore, che lavora nel turismo e che mi ha chiamato per fare insieme un ristorante. Non è un cuoco ma è innamorato di ristoranti ed è molto competente.
E la musica che ascolti? I libri?
Da giovane ero un po’ strano, ho provato tutti i colori diversi di capelli e avevo una band punk. Ascolto tutti i tipi di musica, anche la musica italiana. Adoro Battisti, De Andrè, Mina, Tenco, Gaetano…
Per i libri purtroppo non ho tempo tranne che leggere quelli di cucina, se ho tempo mi piace vedere film, adoro Benigni!
Un talento che hai, uno che vorresti
Adoro le arti, dipingere o disegnare. Volevo per un periodo infatti studiare arte. Non disegno veramente, ma in qualche maniera posso dire che disegno grazie al mio lavoro: disegno con i colori delle salse e degli alimenti su ogni piatto che preparo. Per questo studio e vado al museo a vedere le opere, poi riproduco nei miei piatti e non su un foglio o su una tela.
Mi piacerebbe imparare a vogare. Non ho tempo purtroppo….Lavoro di solito dalla mattina alle 9 fino alle 11 la sera, abbiamo 1 ora e mezzo di pausa e poi dato che la sera dopo lavoro tutti i miei amici mi chiamano per andare a bere, ora che non sono più giovane non potrei alzarmi tanto presto la mattina!
Dove ti vedi tra dieci anni?
Penso di tornare in Giappone, se va tutto bene. Forse dopo: 15, 20 anni.
Non vuoi veder altri posti d’Europa? Non ti interessa la cucina di altri luoghi, tipo Francia o Spagna?
Ogni due anni vado a studiare e fare vacanza in Francia, adoro Parigi dove ho tanti amici di tante nazionalità che lavorano lì: li vado a trovare e mangio a pranzo e cena sempre in ristoranti diversi. Adoro tutta la cucina, anche la patisserie (io faccio anche i dolci).
I formaggi francesi battono gli italiani?
Ahimè sì. Anche i vini…Però la pasta vince sempre, la pasta è Italia.
Io credo che a Parigi sia possibile mangiare a livelli altissimi ma a prezzi contenuti, anche in altre città italiane è più possibile che a Venezia – che è totalmente out of scale!
Cosa hai imparato sin qui dalla vita?
Ho visto un’altra vita. Ho quindi imparato un’altra vita. Noi viviamo solo sul lavoro. Le cose più importanti per noi sono il lavoro, poi la famiglia poi i soldi. Se non c’è lavoro non c’è famiglia e non c’è soldi. Qui in Italia c’è prima la famiglia, dopo l’amore e poi il lavoro. Fino ai 26 anni anche io ero come gli altri giapponesi, vivevo solo in funzione del lavoro. Ho poi conosciuto che esistono, ad esempio, le ferie. In un anno di lavoro in Giappone ho avuto solo 4 giorni di ferie e noi lavoriamo sei giorni su sette ma alcune volte, ad esempio in un hotel, ho lavorato 28 giorni su 30 (dalla colazione alla cena ogni turno).
Quando sono venuto qui, ho capito che c’è un’altra vita: puoi stare con il tuo amore, con la famiglia. Insomma, che la vita non è solo lavoro.
Il ritratto di Masahiro è opera di Franco Grossi, un’altra persona di questo mondo di cui vi abbiamo raccontato e di cui abbiamo pubblicato una poesia. Franco ci ha fatto incontrare Masahiro e ci ha suggerito di intervistarlo. Se vi siete persi la sua storia, ora potete recuperarla!
Una risposta a “Masahiro, cuoco, Venezia”
Ulrich
Che bell‘intervista ad una persona simpaticissima e molto colta. L‘ho visto oggi per caso ‘all’Aciucheta mentre mangiavo una pizza (buonissima, per l‘altro) dove ha salutato i suoi ex-colleghi. Ho subito letto l‘intervista. Spero che apra presto il suo ristorante a Venezia. Cosi avro un motivo in piu per tornare a Venezia.
Ulrich