Che significa davvero fare il reporter oggi in Italia (che secondo Reporter Senza Frontiere è al …43mo posto nel ranking mondiale della stampa libera)?
Dove sta andando la professione, nel bene e nel male?
Per scoprirlo abbiamo deciso di conversare – a tutto tondo – del mestiere più desiderato – e vituperato, ancora a molte latitudini – con Andrea Garibaldi, cronista italiano in pensione che ha fondato Professione Reporter, associazione di giornalisti e sito informativo.
La webzine pubblica storie dal mondo professionale.
Hanno fatto sicuramente molto rumore quelle di Barbara d’Amico, giornalista del Corriere della Sera dove scriveva appunto di lavoro, che lascia perché pagata troppo poco (meno di 15 euro ad articolo).
E quella di Valerio Lo Muzio, videoreporter che presto sarà intervistato su queste pagine: di recente il nome di questo free-lance senza protezione e senza lauti incarichi è rimbalzato sulle cronache italiane (e oltre) per essere stato pesantemente minacciato (è in buona compagnia!) dall’ex Ministro dell’Interno ed ex vicepremier Matteo Salvini (a capo di un partito razzista e xenofobo, non gli mancano sin dagli esordi politici dubbie frequentazioni criminali e di estrema destra) quando ha realizzato forse lo scoop dell’anno: il figlio del Ministro scorrazzava liberamente sui jet-sky della Polizia al mare in vacanza con il noto padre (un ‘privilegio’ che altri cittadini non possono permettersi perché è vietato oltre che senza senso: se vuoi surfare le onde con un jet-ski lo affitti e non chiedi a un poliziotto di portarti in giro)…
La tua vita in poche righe, Andrea Garibaldi, prima di iniziare a parlarci di Professione Reporter
Ho cominciato a fare il giornalista molto giovane occupandomi di sport su riviste specializzate perché giocavo a tennis.
Ho lavorato come precario all’Avanti! (quotidiano, nato come organo del Partito Socialista Italiano nel 1896), poi 20 anni al Messaggero occupandomi di cronaca di Roma e da inviato.
Sono poi stato chiamato al Corriere della Sera come capo della cronaca di Roma nel 1998: lì ho lavorato per 17 anni, dopo la cronaca ho fatto l’inviato speciale occupandomi anche di politica. E infine sono andato in pensione.
Con alcuni colleghi, in particolare Vittorio Roidi che è stato anche lui al Messaggero tanti anni (caporedattore) e poi Segretario della Federazione della Stampa e dell’Ordine dei Giornalisti (l’Italia è uno dei paesi che norma la professione di giornalista al pari di dottori, avvocati, architetti: occorre essere iscritti ad un Albo e ad un fondo pensionistico specifico) abbiamo fondato quindi il sito Professione Reporter.
Prima di passare a parlare di Professione Reporter, volevo chiederti un commento sulla posizione italiana (migliorata di tre ma pur sempre inadatta ad una democrazia) nel report sulla libertà di stampa stilato come ogni anno da Reporter Senza Frontiere. E’ un’inchiesta indipendente stilata grazie ad analisi e questionari. Parla di questioni ‘macro’ e non di altre – ben più pressanti ma poco analizzate – come ad esempio la concentrazione delle proprietà delle testate…
Siamo in una posizione che poco si addice a ‘luminose’ tradizioni culturali che ci sono appartenute…Da secoli!
Cosa ne pensi? Questa impietosa fotografia del sistema informativo italiano ti turba poco o meno o più rispetto a tutte le cose di cui vi occupate?
Mi piacerebbe molto sapere come realizzano in concreto questo report. Io la libertà di stampa in Italia la collegherei specificamente alla proprietà dei giornali. Ciò non toglie che abbiamo tantissimo da migliorare (abbiamo troppi giornalisti minacciati e sotto scorta oggi. Soprattutto nel Sud. E ci sono state tante vittime in Italia negli anni).
Pur essendo questi i fenomeni tanto allarmanti, il problema (vasto) della concentrazione e del tipo di proprietà italiana dei mezzi di informazione nasce con il giornalismo stesso nel nostro paese.
Oltre alla concentrazione in poche mani, i proprietari dei giornali in Italia erano e sono grandi industriali, vedi gli Agnelli (e l’attuale famiglia continua ad averne sempre di più: ultima acquisizione in ordine di tempo quella del gruppo GEDI, concentrando sempre di più in un’unica mano l’area progressista con le proprietà di La Repubblica e de La Stampa), poi i Caltagirone e ancora i De Benedetti…oppure singoli imprenditori.
Un gruppo limitato di persone che hanno altri interessi, si è sempre detto. L’Italia non ha i cosiddetti editori puri che fanno giornali come business principale. Qui li fanno come business secondario e di solito lo fanno per rinforzare i loro business principali, è questo il problema.
Come giornalista sai già che se lavori per Caltagirone non puoi parlare di alcune cose, se lavori per Agnelli di altre…c’è sempre un limite.
In Italia se ti fermi alle prime pagine i giornali sembrano essere tutti uguali…
Questo è un altro problema ancora, non riguarda direttamente gli editori che hanno comunque interessi diversi. I giornali si somigliano più per una sorta di conformismo delle direzioni. In certe epoche ma ancora oggi, c’è una telefonata serale fra le redazioni centrali, che si confrontano su cosa c’è in prima pagina e si omologano tra di loro.
Poi c’è una filosofia di fondo che rende i giornali italiani tutti simili tra di loro: il fatto di occuparsi (solo) tanto di politica italiana. Non in quanto produttrice di trasformazione della società, ma in quanto sottobosco di alleanze, scaramucce, tattiche….
Il peggio del Palazzo, volendo parafrasare una rubrica di un vecchio settimanale satirico mai scordato (Cuore) che ha fatto storia con le sue pagine azzurro-verdastre…
Eh, diciamo così: la politica che interessa il palazzo e non i cittadini. I lettori. Il vizio di fondo del giornalismo italiano, che risale all’altro secolo.
Professione Reporter fa tante cose, una che mi sembra difendere molto bene questo lavoro è ‘separare il grano dalla pula’. Quando ad esempio dici ‘un bravo giornalista è quello che non volta le spalle alla gente ma quello che è al servizio alla gente’.
Per difendere il mestiere attualmente meno remunerato e più vituperato in Italia elencate le buone qualità di questo tipo di professionista.
Siete contro tutti quelli che non rispettano le regole e sovente parlate anche delle disfunzioni in atto (fino a spingervi ai giornalisti robot comparsi in alcune redazioni cinesi..). Le minacce a questo lavoro pare vengano dall’interno della categoria stessa e non sono solo dagli editori che sotto-pagano o dalla Mafia…
Senza dubbio le minacce che vengono dal cattivo giornalismo sono molto molto pericolose.
Noi abbiamo fatto questo sito per difendere il giornalismo, per dire che non è morto e che ha una funzione fondamentale per la difesa di qualsiasi democrazia. Per fare questo deve essere fuori dalle logiche di favori e sfavori, guarda solo cosa interessa ai lettori.
Poi ci sono una serie di attenzioni etiche che a noi stanno molto a cuore e cerchiamo sempre di instillare: rifuggire dal sensazionalismo, rispettare le persone. A questo proposito, da ultimo abbiamo parlato di una storia che ha fatto scalpore in Italia (l’investimento di due teenager a Roma da parte di un ventenne) anche per il modo in cui è stata raccontata. Non facciamo la corsa a pubblicare le foto delle vittime, rispettiamo il dolore delle famiglie! Non cerchiamo a tutti i costi lo scoop, cerchiamo solo di raccontare come siano andate le cose anche per evitare che si ripetano – sempre attenti ai protagonisti degli eventi.
Non sempre questo accade, anzi ormai accade molto di rado. E spesso il racconto dei fatti non sorpasserebbe nessuna attenta verifica oppure si ha la tendenza di prendere la parte di uno o degli altri. Il compito di un buon giornalista è limitarsi a scavare nei fatti per tentare di raggiungere la verità che non si raggiunge mai ma l’obiettivo è avvicinarsi il più possibile, giorno dopo giorno.
E’ scritto anche nella legge costitutiva dell’Ordine.
Spesso però gli Ordini dei Giornalisti non sanzionano tutti i comportamenti illeciti degli iscritti…
Sarebbe un discorso molto lungo questo: molti lo mettono in discussione e spesso dicono che in altri paesi non esiste quindi non serve neanche da noi. Noi pensiamo invece che l’Ordine sia importante, detiene la deontologia professionale e dovrebbe farla rispettare. E’ una garanzia anche nei confronti dei lettori. Quindi noi siamo a favore della sua conservazione, se non esistesse vale a dire che tutti possono fare i giornalisti senza applicare nessuna regola.
Per la verità l’Ordine commina spesso sanzioni ai giornalisti che fanno male il loro lavoro ma le pronunce non sono pubbliche e quindi i lettori non lo sanno: noi pensiamo invece debbano essere rese pubbliche.
Non vengono colpiti a sufficienza, secondo noi, quei giornalisti (soprattutto nelle radio e tv) che fanno pubblicità; non vengono colpiti i titoli scandalistici che escono tutte le mattine sui giornali e tanti altri comportamenti scorretti di cui parlavamo prima.
L’altro problema che riguarda l’Ordine è il suo essere ingessato sul Novecento, il secolo scorso.
Oggi il giornalismo è cambiato in maniera supersonica e cambierà ancora alla stessa velocità ma l’Ordine resta lì, uguale a se’ stesso come un monolite.
Mi auguro certo che riesca a stare al passo con i tempi, o almeno ci sia qualcuno tra i suoi funzionari che si renda conto che ci sono giornalisti pagati 3 euro al pezzo, che ci sono i social network che stanno cambiando tutto insieme ai giornali online non riconosciuti…Se l’Ordine non riesce a stare immerso in queste trasformazioni sarà l’Ordine dei giornalisti pensionati o di quelli che scrivono ancora con la penna d’oca…
Vi siete occupati recentemente di alcune storie che mettono allo scoperto sia fattacci sia cosa voglia dire veramente cosa significa lavorare oggi in questo campo in un modo chiaro a chi di questa professione non si è mai occupato.
A proposito del videogiornalista freelance, Valerio Lo Muzio, uno degli ultimi minacciati da Salvini: in quell’articolo avete sopratutto raccontato come un freelance deve guadagnarsi da vivere oggi, investendo nella propria attrezzatura e guadagnando se va bene 50 euro a pezzo (non si sa quando pagato).
Straordinaria anche la storia di Barbara d’Amico ex Corriere della Sera, che si è vista senza preavviso decurtare il suo già magro compenso ad articolo e scriveva addirittura di condizioni di lavoro….
L’articolo su di lei – che abbiamo ripreso da un suo lunghissimo post – è stato l’articolo che ha totalizzato più visite dallo scorso giugno (data di fondazione del nostro sito web). Ha raccolto 16.000 contatti e in quella settimana il sito è stato letto in totale 25.000 volte. Ti preciso le metriche per dirti quanto questo argomento è sensibile e quanto allora ci ricolleghiamo a quanto dicevamo prima, a quanto l’Ordine sia indietro.
Questo è evidentemente il tema oggi. Tutti quelli che ancora con grande determinazione vogliono fare i giornalisti e sono giovani, sono di fronte a questo problema. Quando ero giovane io ed ho iniziato la professione, il giornalista era un signor professionista rispettato, ammantato anche di un certo prestigio sociale….Oggi non solo non c’è alcun prestigio sociale perché in questa scala di valori ampiamente descritta il suo profilo è molto decaduto ma è un lavoro proletarizzato al massimo.
Chi lo vuole fare è costretto a fare i conti con stipendi da fame. Prende meno di altri lavoratori che, con tutto il rispetto, non hanno così alti costi di ingresso e di formazione.
Avete analizzato le paghe dei freelance negli altri paesi e la situazione del mestiere in altri luoghi dove non ci sono Ordini? Avete anche una rubrica intitolata ‘Dal Mondo’…
Non abbiamo ancora fatto un lavoro sistematico su questo e sarebbe molto interessante farlo (grazie per l’idea!). Ci sono situazioni molto differenti in vari paesi e qualche volta ne seguiamo alcune. Da poco abbiamo pubblicato un pezzo dall’Inghilterra dove un’associazione si preoccupa di trovare sistemazioni logistiche agli stagisti di redazione, che vengono ospitati da giornalisti più anziani in quanto non hanno la possibilità di mantenersi.
Se hanno trovato questo escamotage per sostenerli, mi vien da pensare che anche in Inghilterra i problemi ci siano…Credo che la situazione non sia tanto differente in tutto il mondo, abbiamo due o tre colleghi che fanno parte del nostro gruppo che seguono gli Esteri e soprattutto i paesi anglosassoni.
Un talento che hai, uno che ti manca
Non so, forse un talento che penso di avere è quello di essere una persona che prima di dire o scrivere cerca di studiare. Mi viene spontaneo non essere di parte e tengo sempre conto delle ragioni di tutti.
Un talento che non ho, non saprei…forse non sono eccessivamente brillante, oh forse eccessivamente non è la parola giusta da mettere con brillante, diciamo che certe volte preferisco essere moderato piuttosto che brillante …
Posto che la tua città è Roma, cosa pensi di darle e di ricevere in cambio anche se in questo momento è vituperata in ogni dove la capitale d’Italia…
Mi fai una domanda che è il mio cruccio quotidiano. Esco la mattina di casa e mi viene da piangere. Ho fatto cronaca per una vita e mi sono occupato molto della città: vederla ridotta così è atroce anche se so bene che le responsabilità amministrative non sono tutte dell’attuale sindaco. Tutto questo nasce anche dall’incuria del passato solo che i precedenti sindaci ora alzano il dito e dicono ‘ah quando c’ero io…’. La raccolta dei rifiuti, per citarti un esempio di quel che non va, ormai è paralizzata: è così perché non è stato mai affrontato il problema.
Cosa penso di avere da Roma? Delle mattinate meravigliose quando c’è il sole ed il cielo azzurro ma non è un merito soggettivo…
Cosa penso di dare? Anziché fare un sito sul giornalismo avrei voluto fare – se avessi le forze e qualcuno che mi aiuta – un sito su Roma. Tutte le mattine, quando giro limitandomi senza esagerare al mio quartiere, vedo da un punto di vista giornalistico dieci notizie almeno…Mi piacerebbe un sito su Roma non sullo stile di RomaFaSchifo ma nella misura che racconti le cose come stanno per cercare di migliorarle.
Cosa penso di dare? Niente, ma mi piacerebbe dare molto.
Cosa ti auguri per Professione Reporter tra dieci anni? Che non ci sia più bisogno del vostro impegno perché le cose vanno meglio o…?
La verità è che Professione Reporter si regge su forze minime, forse a vederlo non sembra. Mi piacerebbe che ci fossero più persone che credono in quel che facciamo, che ci diano notizie e che vengano ad aiutarci. Che si sviluppi e che diventi anche una piccola impresa, non credo alle cose volontaristiche. Spero noi troveremo la chiave per renderlo più professionale.
Tu invece cosa hai imparato sin qui dalla vita anche lontano dalla professione?
Domanda da mille punti (ride)! Forse quello che ti dicevo prima: che bisogna ascoltare le persone e tutti quanti hanno delle loro ragioni. Non bisogna mai essere presuntuosi ed essere dalla parte del giusto. Gli altri vanno capiti, la grande ricchezza che abbiamo viene dagli altri.