Voglio sapere di chi è il mio passato.
Di quale di quelli che sono stato? Del ginevrino
che tracciò qualche esametro latino
che i lustrali anni hanno cancellato?
E di quel bambino che cercò nell’intera
biblioteca del padre le puntuali
curvature del mappamondo e le crudeli
forme che sono la tigre e la pantera?
O di quell’altro che spinse una porta
dietro la quale un uomo moriva
per sempre, e baciò nel bianco giorno
il viso che se ne va e il viso morto?
Io sono quelli che non ci sono più. Inutilmente
io sono nella sera quella perduta gente.
Di quale di quelli che sono stato? Del ginevrino
che tracciò qualche esametro latino
che i lustrali anni hanno cancellato?
E di quel bambino che cercò nell’intera
biblioteca del padre le puntuali
curvature del mappamondo e le crudeli
forme che sono la tigre e la pantera?
O di quell’altro che spinse una porta
dietro la quale un uomo moriva
per sempre, e baciò nel bianco giorno
il viso che se ne va e il viso morto?
Io sono quelli che non ci sono più. Inutilmente
io sono nella sera quella perduta gente.
Jorge Luis Borges (Argentina, 1899-1986), da El Oro de Los Tigres (1972)