Se ti sei perso la lettera che ‘Mediterranea’ ha inviato a Slow Words pochi giorni fa, ti consigliamo di leggerla perché come ti abbiamo promesso in quell’occasione, continuiamo a dare spazio a questa meravigliosa storia di umani che salvano umani.
Oggi ospitiamo una conversazione con Alessandro Metz, l’armatore (sociale) che ha deciso di comprare la nave Jonio aka Mediterranea e di agire per fermare la marea nera di morti nel Mediterraneo centrale. Con l’aiuto di tanti esseri umani come lui. Il prossimo potresti essere tu che leggi, non importa dove vivi. La legge del mare è una e dobbiamo contribuire a rispettarla tutti.
La tua vita in poche righe – prima d’incontrare Mediterranea
Sono un operatore sociale da 30 anni – e continuo a fare il mio mestiere anche dopo aver iniziato l’avventura di Mediterranea. Il fatto di essere nato a Trieste, ovviamente, determina che il mio operare sia fortemente guidato dalla figura di Franco Basaglia e collegato alla sua storia nota a livello mondiale ma partita da qui, da Trieste.
Liberazione, de-istituzionalizzazione dei percorsi di presa in carico e cura: la comunità che accoglie, che si fa carico è l’opposto dei percorsi di contenzione, di istituzionalizzazione… Quest’ approccio per quanto mi riguarda è a 360°. Ho lavorato nell’ambito della sofferenza umana, dei disagi, degli inciampi della vita, delle disabilità, della salute mentale, delle dipendenze patologiche.
Ho agito normalmente e naturalmente quando ho visto che nella scorsa primavera il mar Mediterraneo produceva continuamente morti (una media di nove persone al giorno) in quella che è diventata la frontiera più pericolosa al mondo – in un crescendo di criminalizzazione verso le ONG e le navi di soccorso a partire dai governi precedenti e continuando con quello attuale in Italia.
Ricordo ancora gli accordi con la Libia, il Codice di comportamento delle ONG in cui per approvarlo l’opposizione di allora, governo oggi, faceva da sponda… Ricordo ancora l’attuale vicepremier definire le navi di soccorso i taxi del mare e un pm di Catania che partiva con indagini mai arrivate a niente. Abbiamo raggiunto un climax di criminalizzazione da un lato e abbiamo assistito addirittura a chi festeggiava per le morti in mare dall’altro.
Là nasce Mediterranea: o festeggi per le morti o devi fare qualcosa per rispondere alla vergogna di continuare a guardare dall’altra parte.
E dopo? La tua vita deve essere cambiata parecchio…
Io continuo a fare l’operatore sociale, quello è il mio lavoro e quella è la mia quotidianità. Ovviamente quest’ultima è molto cambiata dalla gestione di Mediterranea: devo essere spesso in giro, di notte il telefono non può essere mai spento, in qualunque momento devo rispondere a livello amministrativo e gestionale e spesso perdo quel punto di equilibrio tra vita, lavoro, affetti, aspetti economici. Non sempre tutto questo è facile da gestire.
Quanto è costata sinora Mediterranea, cosa riuscirete a fare se raggiungete il vostro budget di 700.000 euro? Avete già coperto il prestito di Banca Etica con le donazioni già pervenute?
Non l’abbiamo coperto perché i soldi che abbiamo ricevuto finora ci hanno permesso di comprare una nave e di metterla in mare ed avere operatività e soprattutto garantire continuità a questa operatività.
Cinque firme individuali garantiscono – e rispondono in solido – per quel prestito e il tema oggi non è coprire quel debito. Il tema è acquisire altre risorse perché la continuità è quanto di più cruciale per noi. Qualunque azione con una nave ha un costo abbastanza rilevante. Chiunque ci darà un contributo ci permetterà di fare delle miglia nel mare Mediterraneo e non coprire quel debito che se lo accolla chi ha firmato.
Pressione sull’UE le ONG sembra non riescano a farle, cosa potrebbe un progetto come il vostro fatto da cooperative, associazioni, singoli…Soprattutto prima delle Elezioni Europee?
Nessuna esperienza degna di nota con la politica italiana sino a qui?
Noi partiamo da un dato, se vuoi, oggettivo. Partiamo da noi, ognuno porta la propria storia, la motivazione – che nasce dall’esigenza di salvarci, salvare quel che rimane della nostra dignità, umanità, civiltà. E quindi partendo dal presupposto che ci si salva salvando, non potevamo far finta di niente e questo è quello che ci ha mosso.
Nel momento in cui fai un’azione del genere – comprare una nave, la prima nave battente bandiera italiana – e vai nel mar Mediterraneo, sai che questo incide su alcuni aspetti, i più diversi. In questo momento il tema non è modificare l’Unione Europea ma semplicemente evidenziare la dinamica delle politiche in campo sia in Europa che in Italia. Per quanto ci riguarda queste politiche sono miopi ed anche molto barbare da certi punti di vista. Non è possibile entrare legalmente nel nostro paese e nell’Unione Europea e molte persone hanno l’impellenza di muoversi per salvarsi.
E’ il desiderio che muove ognuno di noi, nel tentativo di migliorare la nostra vita. Se vivi una condizione estrema (provocata da guerra, scontri etnici, violenze, fame, sete, torture) a quel punto è ovvio che sei costretto e quel desiderio diventa necessità. Non ci sono confini muri o porti chiusi che possano fermare questo bisogno.
E’ qualcosa di ciclico: oggi tocca a loro, domani potrebbe toccare a noi
I movimenti umani sono connaturati alle storie, alle epoche e alle diverse situazioni. Quello che si sta facendo è letteralmente alzare l’asticella, il prezzo da far pagare – sempre più alto in termini di vite umane, sofferenze e torture subite – e in alcuni casi proprio di prezzo materiale da pagare per il tentativo di traversata. Che poi questo avvenga attraverso la rotta balcanica, o il mar Mediterraneo o il braccio di mare tra Gibilterra e Spagna poco importa: le vie d’accesso quelle sono e quindi continuano ad essere attraversate da parte di coloro che sanno che quella è l’unica opportunità di vita rimasta anche se significa, in pratica, mettere a rischio le proprie vite nel tentativo di salvarle.
Vedi un corposo collegamento tra quest’inasprimento e la enorme onda di sfruttamento a cui vengono sottoposti i migranti una volta giunti, in un modo o nell’altro, nelle economie avanzate?
Quello lo vedo più qualcosa di connaturato all’idea insita di sfruttamento delle economie capitalistiche e vi rimangono assoggettati sia un giovane italiano che per sbarcare il lunario fa il porta-pizza sia l’africano che raccoglie frutta e verdura, o produce le eccellenze del patrimonio gastronomico italiano. A partire dai diritti che puoi esigere, a partire dalla tua condizione di vita, questo tipo di economia produce quello sfruttamento che può essere variamente inteso e declinato ma sempre sfruttamento rimane!
Identikit del ‘volontario tipo’ a terra, che credo sia cruciale quanto quelli in mare (di cui chiederò subito dopo). Già, perché essendo una nave della società civile (soprattutto) è necessario che ci si creda.
Avete spesso fatto reading ma ci piace sapere quali altri momenti di incontro vi sono piaciuti di più sino a qui. Così chi ci legge può aiutare e/o invitare altri ad aiutare.
Su questo, devo dirti, che il sostegno a terra è andato al di là delle aspettative e, per fortuna, anche al di là di noi. Dopo che è partita Mediterranea e che è stata resa pubblica la sua presenza in mare, si sono attivate una quantità enorme di iniziative nel paese anche senza la nostra presenza fisica: ad oggi siamo a oltre 200 e si sono svolte in ogni tipo di spazio. Parrocchie, spazi sociali, librerie …Più di 100 tra intellettuali, scrittori, scrittrici, musicisti, attori, e registi si sono messi a disposizione per offrire serate nei teatri. In alcune città sono nati dei comitati di solidarietà. Sono state fatte cene, raccolte fondi, aste…Chiunque ci ha supportato da terra sinora ha visto che poteva supportare un’azione concreta, materiale e che permetteva a molti di uscire da quell’angolo (in cui eravamo probabilmente un po’ tutti) in cui eravamo annichiliti, indifferenti davanti a quest’onda nera che rischiava di sommergerci da un momento all’altro. Il fatto che Mediterranea sia partita ha dimostrato che si può fare. Si può comprare una nave, si può rispondere con la voglia, l’umanità – non semplicemente con la parola e con il pensiero ma con un fatto concreto. Credo sia questo che abbia messo in moto tanta voglia di esserci. E di partecipare. Di sostenere. Sono veramente diversificate le iniziative ed è qualcosa che serve questo: per la raccolta fondi ovviamente e per dare continuità al progetto ma serve per far sì che nei diversi territori ci sia di nuovo una capacità di riparlarsi tra diversi, di re-incontrarsi e di mettersi in moto. E di uscire dall’angolo di difesa dove siamo precipitati nostro malgrado. E a far vedere che non ci sia solo quella voce che sembrava unica – quella della barbarie, del razzismo, della xenofobia – ma anche una voce opposta.
Non è tanto quello che noi vorremmo, tornando all’identikit del volontario a terra, ma quello che la gente vuole metterci in questa avventura.
Di volontari in mare la categoria si restringe a tre figure. Con che tempi devono rendersi disponibili (posto che la nave ora è in cantiere e riprenderà presto a navigare e finora avete fatto tre missioni)?
Quanti scrittori, fotografi e giornalisti avete già preso a bordo?
Sul sito come hai ben indicato, tutti possono mandare le proprie mail e disponibilità (per salire a bordo, per iniziative, per supportare in altre maniere). Cercheremo di organizzare presto un momento pubblico di incontro e cercheremo di istituire un percorso maggiormente codificato di competenze. Per decidere in che forma questo movimento organizzato si muoverà, oltre alle volontà dei promotori.
Nelle missioni già effettuate abbiamo avuto diversi giornalisti, come Nello Scavo di Avvenire, Mensurati di Repubblica, il fotografo operatore Valerio Nicolosi, Elena Stancanelli, Caterina Bonvicini….Moltissime altre hanno agito ed operato da terra con un lavoro enorme. Ovviamente noi adesso che salpiamo di nuovo faremo in modo tale che ci sia una rotazione per venire incontro alle disponibilità di ognuno e quindi anche con una programmazione. Per far sì che più persone possibili possano raccontare quello che si vede, che c’è, che succede nel mare Mediterraneo. Oltre all’operatività deve esserci anche il racconto, il punto più difficile per il Governo e per le politiche dell’Europa: hanno chiaramente espresso la volontà di non far raccontare quel che succede e quindi capirai che il racconto ora diventa cruciale.
Mi sbaglio o le sanzioni delle violazioni del diritto del mare sono una delle aree più grigie del diritto? Invece i diritti fondamentali dell’uomo in questa parte di mondo erano chiari e assodati.
Il vostro esempio potrebbe contribuire a immaginare un’Europa più utile. E costringere il governo a negoziare in quel contesto in maniera competente, forse.
Sì: c’è sia un’incompetenza che una strumentalità. Ti faccio un esempio, pochi giorni fa un ministro italiano parlando dei minori a bordo della Sea Watch (bloccata ancora, ai tempi che scriviamo, alla fonda di un porto siciliano con un cordone di 1 miglio con divieto di ammaraggio) e ha detto che non ci sono minori a bordo, affermando che è un escamotage perché hanno ’17 anni’. Qui si tratta di strumentalità del racconto e non d’incompetenza visto che esiste una legge italiana (e non solo) in cui si è maggiorenni a 18 anni e prima, anche solo un giorno prima, si è minorenni. Così la parte elettorale di quel ministro banalizza quel che accade. E’ vero anche che hai manifeste incompetenze su vari settori ed elementi, ma per noi il tema qui oggi è soprattutto la strumentalità.
Ad esempio oggi (quest’intervista è avvenuta martedì 29 gennaio 2019) un comunicato a firma Mediterranea e Sea Watch ha aggiornato sul ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e spiega come e perché si è deciso di interrogare la massima Corte. Esistono normative, trattati, leggi e quando parliamo del mare tutto è codificato, incluso l’obbligo del salvataggio. E il salvataggio è codificato molto precisamente: tutto avviene in dialogo con i centri di coordinamento dei vari paesi (soprattutto viene registrato in email e telefonate). Il salvataggio si conclude quando il centro di coordinamento assegna il porto sicuro per i naufraghi che hai salvato. Tutto è molto chiaro, poi esiste un contesto politico che fa sì che si parli di porti chiusi senza che non si sia attivata nessuna normativa o circolare ministeriale che abbia modificato lo status dei porti italiani – tutto parte da un hashtag fotografato da un ministro ma in realtà i nostri porti non sono chiusi.
Tuttavia quando due manager di stato – i presidenti di due importanti porti, quello dell’Adriatico e quello di Napoli – hanno dichiarato che i porti sono aperti e nessun atto normativo è intervenuto a chiuderli (ergo, non fanno entrare d’arbitrio solo le navi delle ONG o le navi commerciali obbligate dalle normative a soccorrere i naufraghi), essi sono stati aspramente ‘rimbrottati’ da Toninelli, il ministro competente per le infrastrutture portuali (mentre va detto che il Ministro che ha fatto e fotografato e diffuso sui suoi social l’hashtag senza valore legale ‘#portichiusi’ è quello degli Interni – e vice premier – Matteo Salvini).
Non è un bel momento per chi legge e racconta la verità in questo paese…
Questo è vero e sono assolutamente d’accordo: per questo distinguiamo tra contesto politico e normativo (salvataggio, diritto del mare, porti sicuri, porti chiusi, diritti umani). Questi stratagemmi animano e rinfocolano un contesto politico che tende a far sembrare vere cose che non lo sono.
In caso doveste ‘salvare’ ora che salperete, quante persone naufraghe potete imbarcare?
Noi andiamo nel mar Mediterraneo, come abbiamo detto da subito, per osservare, vedere, monitorare, raccontare e denunciare quello che succede. Ci siamo messi nella condizione di corrispondere, nel momento del bisogno e nel rispetto della normativa del mare, un salvataggio di persone in difficoltà. A quel punto rispondi a quella che è l’emergenza e la situazione in cui ti trovi. Rispetto a tre, quattro anni fa non ci sono più i mega barconi pieni di centinaia di persone, si tratta di imbarcazioni molto piccole e quindi corrispondi a un’altra esigenza. E auspichi sempre che in mare ci sia un coordinamento vero, con più imbarcazioni che si facciano avanti in caso di bisogno. E auspichiamo che arrivino anche supporti da soggetti istituzionali, da navi commerciali o altre ONG speriamo. Noi non diciamo: noi andiamo e salviamo tot persone. Vediamo che situazione contingente troviamo e come potremo corrispondere al bisogno.
Che emozione si prova a salvare una persona di questo mondo e soprattutto come governare così bene le emozioni per arrivare a mettere una barca di questo tipo in mare (soprattutto in così poco tempo)? Siete stati lucidissimi fino a qui.
Ci riusciamo a partire da quell’esigenza di cui ti parlavo all’inizio – la necessità di agire. Siamo andati a mare per salvarci. Quando ritieni, come è successo a noi, che la misura sia colma rispetto alla vergogna che puoi sopportare allora agisci nella modalità migliore per raggiungere l’obiettivo. E’ ovvio che c’è una forte parte di emozione, di bisogno, di desiderio ma è anche ovvio chec’è un tentativo razionale affinché l’obiettivo venga raggiunto. Quello che ti salva dal sopravvento dell’emotività è sempre l’azione collettiva. Non è il singolo da solo che agisce, è una moltitudine che da una risposta.
I capitani delle tre missioni in un rigo
Per mettere in mare una nave come la Mare Jonio, la gente di mare che abbiamo bisogno di avere è pari a sette componenti professioniste previste dalla normativa nazionale per battere la bandiera italiana e per quel tipo di navigazione (comandante, direttore di macchina, primo di coperta, etc). Sono state assunte e hanno anni di esperienza in petroliere, navi commerciali, rimorchiatori. Non sono volontari. Sono persone che fanno il loro lavoro e sono pagate rispetto a quanto è previsto dalla contrattazione collettiva della gente di mare.
Per quanto vorreste essere necessari? In altri termini, siete stati rapidissimi a organizzarvi ma quanto pensate di dover durare per contribuire a mitigare un complicato ritorno ai nazionalismi?
Io vorrei che domani noi non fossimo più necessari. E’ ovvio che siamo là dove non vorremmo essere. Vorremmo che ci fossero possibilità di ingresso legale in Europa ed in Italia, che le persone potessero essere libere di muoversi nel mondo non per necessità o perché costrette alla fuga…Laddove tutto questo non fosse possibile vorremmo che le istituzioni si facessero carico di salvare chi è costretto alla fuga.
Il mondo dell’oggi non è come quello che vorremmo, le istituzioni non si comportano come vorremmo. E siamo costretti, quindi, a fare quello che non vorremmo.
Oggi devi fare cose eccezionali per essere normale, quello è il problema vero.
In maniera eccezionale, un operatore sociale deve fare l’armatore. Io non voglio farlo, è qualcosa di così lontano da me, ma devo. Io sono tutt’altro ma in questo contesto non potevo che fare questo. Perché l’operatore sociale deve essere laddove la contraddizione maggiormente si esprime. Oggi quella contraddizione si esprime maggiormente nel mare Mediterraneo. E quindi mi assumo la responsabilità giuridica e penale di una nave, un blocco di ferro che non avevo mai visto…Perché sto tentando di essere normale.
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