Alvise, Venezia

La tua storia – partendo dall’inizio

Sono nato a Venezia, alle ciovere. Quando arrivi dal Ponte della Libertà, guarda verso sinistra, vedi le case rosa, sono nuove (degli anni 80). Dietro ci sono le ciovere. Era dove in antichità si appendevano i tessuti ad asciugare. Sono nato quindi a Cannaregio, da una famiglia di veneziani, semplice, che parla veneziano – la mia madrelingua. Ho un fratello maggiore, di quattro anni.

Sono andato a scuola fino a 20 anni, adesso ho 34 anni. Dopo il liceo sono andato a lavorare. Ho lavorato due/tre anni nel turismo (avevo studiato lingue) poi sono partito per la Spagna, da solo. Sono stato lì sei mesi, ho fatto il figlio dei fiori e ho speso tutti i soldi che avevo.

Sono tornato, ho fatto un paio d’anni d’università – mi autofinanziavo lavorando part-time. Non vedevo un futuro per me. Studiavo letteratura e lingua ispano-americana (spagnolo e portoghese), molto bella, mi piaceva, l’avrei finita volentieri solo che non avevo lo sprint! Comunque le lingue le ho imparate lo stesso.

Poi ho incontrato un gondoliere, al karaoke, io ci andavo sempre e cantavo bene. Abbiamo fatto amicizia e lui mi ha chiesto se m’interessava diventare gondoliere. Un giorno lo chiamo, lui mi dice ‘mettiti le braghe nere che ti insegno’.

Ho imparato a vogare la gondola.

Insieme a questo, facevo il musicista e ho avuto tanto tempo per studiare la batteria. Ho lavorato almeno 10 anni in sala prove (alla Misericordia). Essendo lì otto ore al giorno, suonavo otto ore al giorno! Ecco, le mie orecchie sono partite…ho il fischio.

Adesso mi sono messo a cantare, in realtà scrivo canzoni da anni. Adesso scrivo solo in italiano e non più in inglese, perché è più facile essere un pesce grosso nell’acquario che nell’oceano. Inoltre non è la mia lingua madre, non ho mai vissuto in un paese anglofono.

Nel medesimo momento che produco la mia arte voglio che venga capita. E per questo, ti assicuro, parlo molto molto facile.

 

Perché hai deciso di fare canzoni? Potevi comporre e basta, suonare e basta…cosa ti ha spinto?

Se ci penso, è stato proprio qualcosa che è sbocciato, non poteva restare nel limbo. Avevo scritto già canzoni per il mio vecchio gruppo rockabilly, ricordo che la gente le cantava in coro ai concerti, dopo anni che suonavamo. Venezia è piccola sai…

Quando ero piccolo, alle elementari, scrivevo le filastrocche…

 

I tuoi genitori vengono ai tuoi concerti?

Venivano, qualche volta. Adesso sono molto contenti però, perché secondo loro ho trovato un lavoro. Nel frattempo sono diventato gondoliere, non te l’avevo ancora detto.

 

A proposito della musica, ho quasi finito un disco, che è il primo. Non so ancora chi me lo pubblica, ci ha suonato dentro Marco Forieri…vediamo. Sai, tanto adesso i dischi si autoproducono. Con me suona il Bebo, quindi abbiamo a disposizione la sala prove della Misericordia. Con noi hanno suonato altri grandi musicisti, come Federico Nalesso, Maurizio Tiozzo, Luca Bortoluzzi, Corrado Battorti, Maf Mafal Diaw e Gerardo Balestrieri (cantautore famoso, vive anche lui a Venezia: a proposito, dovresti intervistarlo!). Sono venuti tutti a suonare gratis

Il disco ha 11 pezzi, dai due ai cinque minuti l’uno, più una ghost song. Si chiama ‘Sottoportego’. Dopo una frase che ci siamo scambiati un giorno, abbiamo fatto una canzone, che dice ‘pensavo avesse smesso di piovere e invece era un sottoportego’. Adesso il pubblico, quando la suoniamo, viene sul palco e si inventa altre parole, altre strofe. A me piace l’interazione con il pubblico. E mi piace il momento che sto vivendo.

 

Il gondoliere l’hai fatto per fare contenti i tuoi o perché ti piace?

Perché mi piace. Io venivo dal lavoro negli alberghi a quattro stelle, cravatta, barba perfetta…E ho lavorato a Murano, spiegando con il microfono a cento persone cosa succedeva in una fornace. Questo tipo di business non fa per me, semplicemente: non sono un venditore. Mi piace stare all’aria aperta, cantare, mi piace la goliardia – quindi il gondoliere è il mestiere perfetto per me.

 

Canti in gondola quindi?

Se ho voglia sì, e di solito ne ho sempre voglia!

Sono appena diventato gondoliere, da solo tre mesi. Adesso faccio traghetto a San Tomà (una sorta di gondole pubbliche dell’antica tradizione, che permettono di attraversare in più punti il Canal Grande con pochi spiccioli, 70 cent per i possessori di Carta Venezia e due euro per chi non c’è l’ha, ed evitare grossi giri a piedi per varcarlo dai soli tre ponti di cui è dotato: Scalzi, Rialto, Accademia).

 

Donne gondoliere? (quando siamo nati con Slow Words, abbiamo intervistato Alex)

Se mi dovesse capitare di lavorare insieme a Giorgia (la prima gondoliera donna ad essere ‘approvata’ dall’associazione) o ad Alexandra, faremmo amicizia (presumo). Non so con gli altri…alcuni hanno l’eleganza di un pirata, che a me piace…anche la stessa donna penserebbe, forse, ‘sono capitata nel posto sbagliato’.

A parte tutto, il gondoliere è un lavoro faticoso, soprattutto al Danieli. Ci sono grandi picchi di fatica: in due secondi devi esprimere molta forza. Devi essere un atleta. E per una donna talvolta può non essere fattibile.

Io non sono entrato a far parte dell’associazione dei gondolieri per cambiarla, e non mi sento neanche di giudicare.

Fra trent’anni sarà possibile? Secondo me è simile alla questione della famiglia gay che adotta i bambini. Certo che lo sarà, ma adesso forse non siamo ancora pronti, ma chi sono io per parlarne, non sono neanche padre.

(suona sempre la chitarra in sottofondo mentre risponde alle domande, ma a questa si interrompe e diventa serio) 

 

Cosa ti da Venezia e cosa le dai?

Ti rispondo tra un secondo, concedimi questa parentesi: Mi piace molto che ci siano gli studenti, anche se sono molto più ‘sbarbati’ di come eravamo noi. I giovani suonano i computer e non gli strumenti musicali. Questo è un bel distacco. Io sono un uomo di Neanderthal al confronto, che vado via con le mie corde.

James Brown dice che la musica riprodotta con le macchine, proprio perché è programmata, è cibo in scatola. Se in giro c’è del cibo buono ok, se in giro c’è solo cibo in scatola, ti dimentichi del sapore del cibo vero. Brown era proprio uno di strada. A me piace.

Venezia mi da bellezza visiva, in ogni angolino ed in ogni piccola calle. Mi da il silenzio, che io adoro (e che per suonare è qualcosa di speciale) e vediamo se riusciamo a fare un po’ meglio di quello che è adesso, con un po’ più di movimento culturale.

Io dono a Venezia tanti sorrisi. Non mi sento così importante da dare qualcosa a Venezia. Forse rompo solo i coglioni (ride!)

 

Insomma sei il prototipo del free lance… 

Più lavori più guadagni, ma anche quando non lavori è un guadagno. Non perché ti pagano, beninteso, ma perché hai tempo per te, è già un guadagno.

 

Tra dieci anni dove ti vedresti? 

Tutto dipende se incontro una donna…Non penso che lascerò Venezia ma penso che viaggerò tanto. Mi piacerebbe lavorar tanto tanto tanto, metter via i soldi (non sono uno spendaccione!) e partire.

Ho ancora la speranza di innamorarmi, io.

Tra dieci anni mi vedo sempre giovane e in viaggio. Ho un fisico incredibile ancora, e spero non mi abbandoni la salute.

 

Il libro con te ora?

L’autobiografia di James Brown: lui ha la consapevolezza di essere un superuomo. Esistono i superuomini.

Non ho una cultura accademica della musica, mi limito a sentirla dentro. Per me lui è come Beethoven o Mozart. E’ uno del 1900, ha creato la rivoluzione. Ha inventato parte della musica moderna insieme Bob Marley, Jimi Hendrix, Miles Davis. Lui fa musica con un accordo solo, che si ripete fino alla fine. In maniera ipnotica. Se ci pensi, la musica che oggi ascoltano i ragazzi in discoteca è quella. Lui diceva spesso: hanno provato a riprodurre il mio sound, ma non ci sono riusciti. C’è bisogno di una consapevolezza del ritmo, di un’enfasi, di un’ identificazione culturale. C’è bisogno di avere i piedi per terra, fare con le mani, respirare.

 

Cosa ascolti ora? 

Adoro i cantautori, io non sono un cantautore, sono qualcosa in meno, certe persone non hanno una bocca, hanno un’arpa. Amo i cantautori italiani, ad esempio Piero Ciampi. Ho sentito dire delle frasi da lui, tipo: ‘quel pugno che ti detti è un gesto che non mi perdono, ma il naso ora è diverso, l’ho fatto io e non Dio’.

Mi piace tutta la musica, veramente. Io sono un musicista.

 

A parte essere diventato di recente gondoliere, una cosa bella che ti è capitata di recente?

Tante, ad esempio che vengono a suonare nel mio disco degli artisti così bravi. Marco Forieri, ad esempio, ha suonato a Sanremo, suonava con i Pitura Freska e Ska-j. Mi sento importante, gratificato, un po’ meno borderline di quello che sono i musicisti veramente.

 

Cosa ti piace mangiare? 

La frutta, perché è pronta.

 

Non perché è sana, ma perché è pronta? (grandi risate)

Ah, sì, mi piace anche mangiare la birra. Buona. Birra bionda, pils.

In quanto a cucinare, faccio il risotto, ma non mi sono mai imbragato tanto con la cucina. Preferisco andare in una bottega di strumenti e comprarmi due strumenti a corda diversi lo stesso giorno. Acquisto sconsigliato dai migliori psicologi!

(riprende a suonare la chitarra, melodie che sono tra Joplin e melodie per il sitar: non credevo fossero tanto vicini e complementari. Io intanto faccio dell’altro tè, stavolta un nero aromatico del bush autraliano: lui non ha preferenze, è assorto a suonare)

 

Come hai conosciuto Stefania, restauratrice, che ci ha consigliato di intervistarti?

Quando cantavo nell’altro gruppo, gli All Inside.

 

Un talento che hai e uno che ti manca? 

Sono bravissimo a fare il pagliaccio, un talento incredibile. Avrei dovuto fare l’animatore dei villaggi.

Io sai sono un batterista, sono una scimmia! Vorrei avere più orecchio musicale, non ritmico. L’orecchio assoluto per capire se le note siano calanti o crescenti.

 

La maggior parte delle persone che intervistiamo vorrebbe essere un musicista…anzi tutti.

Secondo te, se lo facessero per mestiere, continuerebbe a piacere? 

La musica piace a tutti (sicuramente a livelli differenti). Tuttavia, secondo me è inspiegabile come ci siano persone che hanno un talento musicale, lo vedi da come si muovono sentendo il ritmo alla perfezione, che non la studiano.

Di partenza ci vuole un po’ di dote. E poi ci vuole un sacco di costanza. Hai mai provato a soffiare dentro una tromba? Penso che sia qualcosa tipo essere sull’Everest. Ci sono strumenti molto difficili da suonare, più della chitarra.

Io suono chitarra, basso, mandolino, ukulele, e diversi strumenti a corda mediorientali. La batteria la suona molto bene, anche se non mi alleno più da anni. E’ la mia morosa, siamo stati sposati.

 

Fai qualcosa per vivere lentamente?

Già vivo a Venezia, più lento di così non si potrebbe. Ho sempre fatto una vita di sveglie all’alba, quindi anche senza sveglia mi sveglio presto.  Quindi alla fine riesco a fare tante cose, mi piace fare e poi magari ne parlo.

La musica è un grande dono, la mia grande fortuna.

 

A parte quando scrivevi le filastrocche alle elementari, quando hai capito che la musica sarebbe stato tutto per te?

All’esame di maturità, sono andati a vedere cosa avevo fatto alle elementari e alle medie e mi hanno chiesto: scrivi ancora poesie? Adesso scrivo canzoni, risposi.

L’altro anno mi sono messo a fare questo progetto cantautoriale (scritto con la c piccola, però!) e mi è tornata in mente la storia dell’esame. Quando suonavo con il gruppo figo, e suonavo la batteria, non mi fermava nessuno per la strada. Ora sì, mi riconoscono. E’ un anno e mezzo che suono con i Fuori Bordo e mi fermano per due o tre canzoni, che sono inequivocabilmente carine!

 

Se vi interessa scoprire un’altra storia di gondoliere (ed anche di insegnante e poeta), su Slow Words abbiamo quella di Franco (ed anche sue poesie nella sezione letteraria, come Farfalla)

http://www.slow-words.com/it/franco-gondoliere-e-terapista/

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