A Venezia, Campo San Beneto, in una teca del Fortuny (fino al 14 luglio) ci sono 25 spille. Le firma un’orafa veneziana (Barbara Paganin, 1961) che si dedica dagli anni ‘90 solo al gioiello.
Memoria Aperta è una grande raccolta a cui fa seguito una imperiosa operazione di metissage: ciascuna spilla è composta di tanti piccoli oggetti accumulati o trovati dall’artista. Barbara, a proposito, dice: “Provo un’emozione forte. Dopo tanti anni di accumulo, per la prima volta mi sono liberata dall’affetto della memoria presa in prestito.”
Memoria Aperta genera una storia, un ritratto di famiglia, un bisbiglio e a tratti un poema: ciascuno di noi può leggerla come vuole e trovarla amara, dolcissima, romantica o sensuale. La fattura delle piccole sculture portatili è straordinaria. Un castello di gesti, di precisissime giunzioni e di distribuzione di qualità, come se ogni piccolo tassello di spilla fosse proprio un personaggio che parla e che concorre a formarne il senso. I lavori di Barbara, infatti, sono nei più grandi musei del mondo tra cui al Cooper-Hewitt (New York), al Musée Des Arts Décoratifs (Parigi), al Boijmans van Beuningen (Rotterdam).
I suoi gioielli sono paesaggi o architetture, mondi: entro di essi spesso le forme naturali (anemoni, cavolfiori) la fanno da padrona, ma credo soprattutto che la creazione di Barbara si nutra di un amore enorme, indissolubile per il colore: quando era più giovane li amava tutti tranne l’azzurro (e le era impossibile anche fisicamente accostarsi ad esso).
Dopo la scuola, inizia a lavorare come disegnatrice da Venini ed ogni volta che può va alle fornaci (a quei tempi tutte aperte) a respirare la magia della pasta di vetro, del colore che nasce. I suoi occhi brillano, il suo corpo ossuto e armonico si tende quando ci pensa e racconta degli anni muranesi, la voce suadente insiste a sottolineare l’importanza del processo che continua a stregarla: “Con le polveri di vetro devi sentire dentro il colore, non solo guardarlo. Nel vetro il colore della pasta vitrea che usi non sarà quello che vedrai dopo la cottura. La mia esperienza con Venini è stata importante. Il sapore, il gusto della fornace…Erano gli anni di De Santillana, di Toni Zuccheri.”
Dove trovi ispirazione?
Ho studiato all’Istituto Statale D’Arte di Venezia, ho deciso di fare oreficeria perchémi piaceva, mio papà aveva fatto architettura ed un po’ volevo copiarlo. Mi piaceva il nome della parola, non sapevo neanche cosa avrei trovato. Mia mamma è stata adottata e si sa che la sua mamma era del Montenegro e spesso abbiamo fantasticato che questo mio estro venisse da lontano, fosse perché loro erano zingari e quindi orafi e io avessi preso da loro.
Nel tempo hai sperimentato qualsiasi tecnica…
Il vetro è entrato prepotentemente nella mia vita quando ho partecipato a Trieste Contemporanea (2006), vinsi ed il premio era la realizzazione del mio progetto (fu allora che entrai in contatto con Paolo Cenedese e con la scuola del Vetro “Abate Zanetti“). Poi mi è stato proposto un contratto di un anno e ho potuto realizzare tutti i miei calchi dei cavolfiori e ho fatti tantissimi altri esperimenti. Con il vetro lavori con il colore, è facile utilizzarne uno solo, è piùdifficile mescolarne molti, sono arrivata ad usarne fino a sette, opachi e trasparenti insieme.
Sei nelle collezioni di grandi musei. Che oggetti hai in ciascuno di essi?
Al Boijmans ho un pettine, lì la galleria Marzee di Nijmegen aveva chiesto ai suoi artisti di fare un pettine speciale per festeggiare i dieci anni di attività. Io ne feci tre diversi con la possibilità anche di essere venduti, uno di questi l’ha preso il museo.
Al Cooper c’è un anemone acquisito tramite un gallerista di New York.
A Parigi ci sono due pezzi: uno è dei miei gioielli del periodo del mare e degli anemoni, poi una collana ad elementi modulari, si chiama nasse.
Il gioiello più insolito che hai fatto?
Un amuleto, di quelli se ne fanno pochi. Era sempre per la galleria in Olanda, dove la gallerista cadde. Per celebrare la sua guarigione, fu organizzata una mostra composta solo di amuleti. Io feci un uccellino in oro su base quadrata in argento verde: la base è simbolo della terra mentre l’uccello è la leggerezza.
Hai mai fatto gioielli da uomo?
Ultimamente ho fatto misure da uomo, gigantesche, per alcuni anelli. Ho avuto sempre uomini tra i miei clienti, anche italiani, e quindi i miei gioielli sono assolutamente unisex.
Parli di una memoria presa in prestito nel momento in cui fondi questa collezione, riesci ancora a riconoscere i singoli pezzi?
Da lontano ho una visione globale, da vicino riconosco ogni parte. Pensa, io li riconosco anche dai numeri, se mi dici 18 ti so dire qual è e ti so dire tutto ciò da cui ènato! E’buffo, questo progetto è nato per caso. Feci una sola spilla e la indossai a una fiera, la Collect alla Saatchi (Londra), e tutti rimasero molto colpiti. La curatrice di questa mostra, in particolare, mi chiese di fare più pezzi per proporli al museo. Ne feci due o tre, poi siamo arrivati a 25 perché mentre tornavo a casa in bicicletta, mi feci male ad una mano, ero preoccupata per cosa ne sarebbe stato. Costretta al riposo, mi misi a progettare e quindi ne potei fare tante di più, anche più di quelle che vedi qui. Prevedo di non venderli perché gireranno parecchio in diversi musei dopo il Fortuny. Alla fine del ciclo di mostra saranno in vendita. Non riesco a pensare che una vada da una parte e una dall’altra, mi viene difficile pensare di dividerle.
La tua storia in 10 righe: sei nata a Venezia e sei restata sempre il più possibile vicino a Venezia mentre i tuoi gioielli vagano per il mondo. Perché?
No, non c’è un motivo. Mi piace talmente Venezia che quando me ne sono andata, nel 2002 perché ho dovuto cambiare casa, ho tagliato i capelli a zero. Poi sto bene in tanti posti e comunque quando hai famiglia qui, tanti animali (al momento 3 pappagalli e un gatto) è difficile spostarsi. Ora sono ad Oriago: una volta che dovevo lasciare Venezia, qualsiasi posto andava bene.
Mi sono laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti qui a Venezia. Insegno da oltre 30 anni, nel 2002 ho anche tenuto una master class al Royal College di Londra. Insegno progettazione oltre che design del gioiello, m’interessa la metodologia che serve per fare un gioiello ma anche una valigia. La progettazione, un metodo (ed anche l’entusiasmo e la voglia di fare) sono molto utili alle nuove generazioni. Trovo ancora studenti per cui valga la pena insegnare. Ti stimano quando capiscono che tu ci metti passione, che non gli stai raccontando storie.
Che incontri fai quando lavori come creatrice?
Quando giro incontro altri orafi, soprattutto stranieri.
Quali sono le tue difficoltàcome imprenditrice?
Lo scontro con il prezzo del mio lavoro e quello, raddoppiato, a cui viene venduto nelle gallerie. Alla fine, per quanto arrivano a costare, potevo regalarlo perché quello che resta a me, tolte le spese e le tasse, è pochissimo.
Cosa ha fatto per te la società?
Istituzioni come il Fortuny, dove siamo adesso, sono importanti. Anche quando vinsi il premio Bevilaqua la Masa, è qualcosa che la città di Venezia ha fatto per me, ma non solo. La società per me è tutto quello che esiste di cui ti servi come cittadino: dalla biblioteca, al cinema. Sono doni che da solo non troveresti.
Cosa hai fatto tu per la società?
Creare cose che altrimenti rimarrebbero solo nella mia testa (e gli altri non potrebbero vedere). L’artista è un creatore, come un poeta che scrive la sua poesia: un regalo perpetuo per gli altri.
Qualcosa di bello che ti è successo recentemente?
Come artista, sapere che i miei pezzi sono acquisti anche al Lacma (Los Angeles), tramite una collezionista che ha fatto un lascito: non è stato un rapporto freddo con questo museo. Mi hanno scritto, hanno chiesto del mio lavoro. Non è come gli altri musei che quasi quasi quando ti acquisiscono quasi non te lo dicono neanche.
La tua passione culinaria e la tua bevanda preferita?
Mazzancolle cotti, saltati in padella con riso e verdure come li cucinava il mio fidanzato. Non bevo, solo acqua e tisane alle erbe e al finocchio.
La musica che ascolti in questo momento ed un libro?
Siccome non ho tempo per leggere, amo molto gli audiolibri. Ora sto tentando di “ascoltarmi” Guerra e Pace, ne ho ascoltati tanti così mentre lavoro. In questo periodo ascolto i Placebo e l’armeno Serj Tankian. Direi che preferisco il rock.
I tuoi prossimi progetti?
Un progetto di anelli in titanio e diamanti (non saranno pezzi unici come queste spille ma multipli). Il titanio è un metallo difficilissimo, bello, leggero e resistente ed il grigio che ha mi piace molto, è affascinante. Un materiale duro e durevole, stabile. Immutabile. E’la prima volta che vengono messi insieme, titanio e diamanti.
Autori da tenere d’occhio nel gioiello contemporaneo sia prezioso che semi prezioso?
Il materiale non è importante. Usi il materiale che è congeniale a trasmettere la tua idea (spesso io uso anche le plastiche). Dei giovani designer non sono molto informata, ce ne sono tantissimi, tuttavia non mi sembra di aver trovato un’identità forte (sembrano copiare). Conosco di piùi coetanei, qui a Venezia comunque non ci sono orafi. Apprezzo molto Babetto e Pavan, di Padova. Sono molto affezionata a Nel Linssen, che fa gioielli in carta; agli estoni, un po’ più giovani, che usano elementi presi dalla natura (uccelli, farfalle, rami): cose molto lontane da me, ecco perché mi affascinano.
E le tue gallerie? Come va con quelle con cui lavori attualmente (Paula Crespo, Lisbona; Caroline Van Hoek, Bruxelles; Galleria Orfeo, Lussemburgo, ndr)?
Ho smesso di lavorare con molte gallerie in questi anni perché non sono contenta di come trattano i lavori (li usano, li indossano) oppure ne hanno talmente tanti che non riescono a far vedere i tuoi (che senso ha tenerli da loro in un cassetto?). Ho tenuto solo tre gallerie, una non vende assolutamente niente ma mi è simpatica. In Italia ce ne sono pochissime, comunque non riesco a stare dietro alle loro richieste.
Per me conta molto l’insegnamento perché ha una regola, scandisce la tua giornata. Dopo viene tutto il resto.