‘Benvenuti Rifugiati’ (Refugees Welcome) è un network internazionale. Nato in Germania nel 2014 è arrivato nel luglio 2015 in Italia. Per mitigare la tragedia dei migranti che sta scuotendo e dividendo l’Europa: volontari, dal basso, riuniti in un’associazione, operano concretamente per dare un tetto ai rifugiati mettendo in relazione loro e le famiglie che si candidano ad ospitarli.
Per ora sono in quattro grandi città italiane ed altri territori (Roma, Milano, Torino, Bologna, Abruzzo, Padova, Marche e Romagna). Come scoprirete tra breve, si stanno rapidamente espandendo e sono aperti a contributi per incrementare questa originale offerta di coesione e inclusione sociale. Spesso una famiglia o un gruppo di amici sono la soluzione migliore per i traumi di chi cerca di integrarsi per capire come funziona un altro paese quando è stato costretto a lasciare il proprio….Slow Words li ha incontrati, per raccontare a voi quanta energia, scoperta e meraviglia maneggiano (e restituiscono al mondo) ogni giorno.
Come funzionate in pratica?
Abbiamo un database e circa 200 volontari e facciamo in modo che le disponibilità offerte possano essere sfruttate. Gli attivisti principali e i fondatori non sono distribuiti uniformemente in tutto il territorio. La piattaforma italiana di Benvenuti Rifugiati è online da dicembre, ad oggi censisce 412 famiglie registrate, quindi disposte variamente ad ospitare. Magari ancora non siamo in grado di soddisfare tutte le richieste di famiglie disposte ad ospitare in una determinata area perché mancano ancora i volontari necessari in quella zona che ci aiutano ad organizzare l’accoglienza.
Ti faccio un esempio, magari in Calabria abbiamo quattro o cinque volontari che non sono nella stessa città. Ci vuole un po’ di tempo per crescere uniformemente…
Siamo molto prossimi ad avere team attivi sulle Marche e sul Veneto, subito dovrebbe essere la volta della Sicilia e della Calabria. Quindi, la volontà di espandersi c’è, ma dobbiamo fare i conti con le forze che abbiamo (che devo dire non sono poche!).
Voglio ribadire che tutti i volontari che collaborano con le famiglie, sommano il loro impegno lavorativo a quello per l’associazione – e lo fanno ovviamente a titolo totalmente gratuito. In questi mesi per alcuni di noi l’impegno è diventato totalmente full time, relegando le nostre professioni in un angolo e se continuiamo così….
Come vi è venuta l’idea?
Da tante e diverse parti dell’Italia molte persone hanno scritto ai tedeschi per capire come avevano fatto a creare Refugees Welcome… i tedeschi le hanno messe in contatto… io personalmente sono arrivata poco prima della fondazione ufficiale di Refugees Welcome Italia, avevo avuto notizia che stava per nascere e volevo assolutamente esserci!
Chi sono, tutti in un fiato, i collaboratori che portano avanti ‘Benvenuti Rifugiati’ in Italia e chi ci risponde ora?
Sono tutte persone con professionalità diverse, provenienti da esperienze diverse… il giornalismo, l’insegnamento, la comunicazione, l’informatica, la mediazione interculturale, l’innovazione sociale… I cinque membri del direttivo, alcuni dei quali sono anche fondatori di Refugees Welcome, si riuniscono settimanalmente su skype; partecipo anch’io in quanto mi occupo della segreteria generale oltre che del team locale. Cerchiamo di fare un incontro in presenza almeno una volta al mese, distribuendo il carico di spostamenti in maniera più eguale possibile, ed in quelle occasioni presenziano anche tutti i responsabili dei team territoriali ed i vari collaboratori.
Tutto è nato, come ti dicevo, grazie all’associazione tedesca che ha creato una mailing list tra persone che erano interessate a saperne di più dell’accoglienza d’immigrati. Sono nate delle amicizie, connotate da questa forte motivazione in comune. Dal primo incontro in settembre dove si è dato appuntamento a tutti, il primo zoccolo duro di persone nel nostro paese si è riunito attorno ad un gruppo chiuso su Facebook.
Io (Maria Cristina risponde a quest’intervista) ho 54 anni ed un’esperienza di traduttrice ed interprete, mediatrice interculturale.
La prima riunione offline del gruppo Facebook ho avuto fortuna si tenesse nella mia città, Bologna. Vi presi parte e da allora ho cominciato: del gruppo originario sono rimasti come spesso accade la metà ma poi se ne sono aggiunti tanti altri. Abbiamo cominciato a istituzionalizzarci un po’ con un direttivo nazionale e diversi gruppi di lavoro. Oggi sono anche responsabile territoriale e segretario generale dell’associazione. E sono attiva su vari fronti: dall’aspetto burocratico del management, alle telefonate alle famiglie ai contatti con enti vari ed associazioni, alle pratiche e alla legislazione sull’immigrazione…E io per prima sono famiglia ospitante. Era un po’ un destino….inevitabile un incontro tra me e Refugees Welcome.
Non abbiamo un ufficio operativo, solo una sede legale. Siamo ospiti di varie associazioni.
Identikit del volontario tipo? E che famiglie ospitanti tipo (allargate, tradizionali)?
I volontari sono troppo diversi fra loro soprattutto per età (dai 20 agli over 50…), un tratto che compare spesso è la professione di educatore.
Più che famiglie ‘allargate’ ospitanti, ci capitano di più famiglie ‘ristrette’, nel senso spesso sono single che si iscrivono, per noi non fa nessuna differenza: in base al tipo di famiglia disponibile si cerca di capire che tipo di persona può inserirsi.
Faccio un esempio: su Bologna stiamo cercando di organizzare un’accoglienza in casa di un signore che vive da solo, appunto. E’ una persona che da un lato è estremamente adatta ad accogliere, in quanto ha una professione di educatore con delle competenze sulle fasce giovanili (questo l’identikit perfetto!), dall’altro il suo lavoro lo tiene impegnato fino a tarda sera, quindi quando non c’è nessuno in casa dobbiamo trovare qualcuno che riesca a gestire le ampie porzioni di autonomia dell’ospite. Fermo restando che la solitudine sarebbe molto relativa perché i team territoriali (qui conto su una decina di volontarie che assistono le famiglie ospitanti) riempirebbero buona parte della giornata con attività che individueremo ad hoc per la persona accolta in questa famiglia ‘single’. Ad esempio: un corso di italiano, la visita settimanale al centro per l’impiego, qualunque altra cosa pertinente.
Prima accennavi al match domanda/offerta di ospitalità tipico di community online come Airbnb: mentre lì il lavoro della community finisce quando un ospite trova la sua casa, per noi è l’opposto, comincia. Perché il team segue capillarmente il percorso di vita lavorativa e di uscita (dall’ospitalità) del rifugiato.
Nessuno si impegna ad ospitare a tempo indeterminato, viene fissata una data di fine del soggiorno presso una famiglia che può essere mantenuta come no. Se si trovano bene c’è facoltà di prorogarla, ma spesso può non accadere. E comunque è importante curare, non certo una settimana prima, il percorso di uscita. Siamo molto, molto diversi da Airbnb!
Il parallelo con community o database online tipo Airbnb mi incuriosiva per la relazione che si crea, online, tra profili di sconosciuti…
Sì, ma anche lì fino ad un certo punto: oltre al database (che noi usiamo) vi è un percorso di conoscenza tra l’ospitante e l’ospitato che precede il vero e proprio percorso di ospitalità. Le persone si incontrano prima in un posto neutro, poi si va avanti con la mediazione e fino all’ultimo si può lasciar perdere se non si è tranquilli o se c’è una nota stonata…Certo ci si conoscerà meglio pian piano, ma si parte da una minima parte di emozioni e conoscenza reciproca minima!
Una storia di rifugiati che vi ha particolarmente colpito?
Un ragazzo eritreo arrivato in Italia a 12 anni grazie ad una organizzazione umanitaria, nel tentativo purtroppo vano di ridargli la vista che non aveva più a seguito di una mina che aveva ucciso molti dei suoi piccoli compagni di gioco. Ora ne ha 21, dopo la maturità a pieni voti studia all’università a suon di 30 e lode, e tra poco sarà cittadino italiano…
Che tipi di incontri o di giornate vivono i vostri volontari?
Ci invitano spesso a presentare Benvenuti Rifugiati in occasione di eventi – con e presso associazioni, Comuni… Si incontrano assessori, istituzioni varie, famiglie e rifugiati. Si organizzano banchetti in occasione di feste all’aperto. Ci si presenta di persona alle varie realtà del proprio territorio che si occupano d’immigrazione per creare reti e contatti, si curano le pagine facebook, si cercano bandi interessanti…
Quale altra esperienza di coesione sociale vista altrove vorreste nel vostro paese?
Proprio oggi ho visto che, sempre i tedeschi, hanno messo online una piattaforma per favorire l’amicizia tra rifugiati ed autoctoni… sarebbe una bella cosa: sento dire spesso “vorrei ospitare ma non ho una stanza”. Beh, anche un semplice invito a cena è un’occasione d’incontro, e magari l’amico che hai invitato insieme al rifugiato la stanza ce l’ha e gli viene voglia di ospitarlo, si moltiplicherebbero le chance di risolvere molti problemi.
Cosa fa la società per Benvenuti Rifugiati?
Poco…Diciamo che il bilancio è probabilmente leggermente negativo, nel senso che si potrebbe fare di più.
In realtà dalla mia posizione privilegiata (di cittadina, di lavoratrice a contatto con questo tipo di volontariato) incontro anche realtà assolutamente meravigliose. Per esempio, a Bologna un quartiere abbastanza centrale – non particolarmente di lusso ma neanche periferico – da sei anni è la casa di Indovina chi viene a pranzo: una strada viene pedonalizzata per un giorno e si organizza una lunga tavolata multiculturale grazie ad Amis, una cooperativa di mediatrici straniere altamente qualificate. Vi partecipano tutte le comunità di stranieri in città, oltre che le autorità. In questi momenti si ribaltano ruoli e prospettive: gli ‘utenti’ diventano protagonisti e raccontano la propria vita.
Un’esperienza sorprendente che vi è capitata di recente?
Un amico ivoriano che ha trovato un ottimo lavoro… purtroppo è sorprendente, non capita spesso… mentre un altro, gambiano, ne ha trovato uno pessimo, che lo costringerà a pedalare 40 chilometri al giorno per raggiungere di notte il posto di lavoro… quando non ci sono più autobus… ma ha accettato lo stesso
Ti capita mai di condividere cibo e giornate in libertà con i rifugiati? Se sì come?
Ne ho ospitati diversi… si sta insieme tranquillamente, senza formalità… un’atmosfera di affetto.
Descrivi la tua scrivania ora – senza dimenticare i libri e la musica che la occupano…
Vorrei dire che nel mio disordine mi ci ritrovo, ma non è vero! Carte sparse ovunque, documenti importanti (altrui) lasciati in mezzo al resto… un piatto… vari telefoni… libri di inglese… biglietti ferroviari… pc…
Punti di forza e di debolezza di Benvenuti Rifugiati?
La forza sta nella nostra competenza e tenacia, la debolezza… chi ci mette i bastoni tra le ruote perché non vuole perdere una fonte di business, timore per di più infondato visto che siamo no profit…Ci sono alleanze tra cooperative e comuni per far sì che la ‘torta da spartire’ deve rimanere tra due o tre…Anche in territori tradizionalmente ‘rossi’ e quindi pionieri nell’accoglienza.
Riguardo i miei punti di debolezza e di forza, in un certo senso sono gli stessi: ho la tendenza ad essere molto multitasking e devo imparare ad esserlo meno. Tendo a volermi occupare di troppe cose contemporaneamente.
Cosa avete imparato sin qui dalla vostra esperienza?
A non fidarci di chi è in politica!
Quest’intervista, a cura di Diana Marrone, è stata commissionata dalla Fondazione Easy Care per l’Osservatorio dei ‘Social Cohesion Days’, sul cui blog Slow Words ha curato per un anno, in lingua italiana, una rubrica mensile fino a gennaio 2017. Dato che l’intervista è stata realizzata nell’agosto 2016, vi consigliamo di verificare le attuali zone di attività della associazione: https://refugees-welcome.it