Questa settimana #slowwords vi presenta una storia molto speciale, quella di Harry Parker – un soldato inglese, figlio di soldati, che diventa scrittore.
Lo abbiamo incontrato in un tour affollato e serrato di alcune librerie italiane in piccoli come in grandi centri, in occasione della pubblicazione della versione italiana del suo primo e straordinario romanzo, così fuori dal comune (Anatomia di un Soldato). E’ il primo del genere tutto dedicato all’anatomia ‘spirituale’ delle cose (cose, non persone) ed è un incredibile e preciso ritratto del rumore bianco che l’autore deve aver sentito quando si apprestava a rinascere. Potete leggere il capitolo 9 del romanzo nella nostra sezione Short Stories.
Abbiamo parlato con franchezza e molta sincerità, ma altrettanto brevemente, compressi tra altre interviste e la sua cena prima di incontrare i lettori in una piccola libreria indipendente dove nessuno aveva letto ancora il suo libro e dove c’erano anche qui e lì dei cadetti.
Lo ammetto, tremavo…non riuscivo a smettere di pensare alla sua situazione personale dietro – ed oltre – la incredibile bravura letteraria. E’ stato quasi ucciso dallo scoppio di una mina in Afghanistan dove combatteva per l’esercito di Sua Maestà.
E’ stato salvato, ha imparato di nuovo a camminare e a parlare e poi ha cambiato vita.
La tua storia in poche righe – fermandoti un attimo prima dello scoppio – con un pizzico della tua infanzia e del destino che la tua famiglia ha messo nelle tue radici..
La mia vita in poche righe? Oddio…sono stato un vero soldato, ho servito circa quattro anni nell’esercito. Prima ho studiato alla scuola d’arte e ho avuto quel che si definisce una normale educazione nel Regno Unito. Ho un fratello di poco più grande e sono nato nel 1983.
Dallo scoppio allo scoppio (sì, avete letto bene): penso ci sia un lungo, o meglio un assoluto intervallo in cui tu sei tra qui (la vita) e lì (la morte). Hai qualche specifico ricordo di questo?
Tutto, ricordo tutto fin quando sono stato cosciente. E lo sono stato tanto, dallo scoppio in avanti.
Se potessi associare un colore a quel momento della tua vita, quale sarebbe?
Giallo, e anche iodino.
Quando studiavi arte, avevi in mente di lavorare nel campo come…
Artista, non curatore. Dipingo e disegno, anche se al momento prevalentemente scrivo.
Anatomia di un soldato è il tuo primo libro. Preferisci definirlo un romanzo o piuttosto una raccolta di racconti?
Per affezione, è un romanzo. Intendo che ogni capitolo è sì dedicato alla vita di un particolare oggetto, ma è inteso come un tutt’uno con il resto, ogni capitolo si rispecchia. Il libro ha definitivamente una narrativa definita, un suo passo.
Tu come lettore, invece, prima di scrivere il tuo primo libro: che modi, che luoghi e che bisogni?
Mi piaceva moltissimo uno scrittore, Iain Banks – e a chiunque lo menzionassi non lo conosceva tanto (è uno scrittore scozzese di fiction che scrive sotto due nomi, oltre al primo anche Mr. Banks). Anche Hemingway, molto. Leggo molti thriller commerciali, anche. Da quando ho iniziato a scrivere penso di fare molta più attenzione a come ciò che leggo viene scritto.
Col primo libro hai iniziato a scrivere dopo una forte storia autobiografica. E dopo, cosa viene dopo?
Avevo una storia molto autobiografica da dire, ma non ho voluto farlo. Ho fatto di tutto per non farlo. E’ una delle ragioni per cui ho usato le storie di oggetti nel libro. E ci sono anche cose inventate di sana pianta, come la storia dei ribelli locali. Anzi, mi piaceva molto di più scrivere queste parti del libro più che quelle che si potrebbero chiamare ‘personali’.
I racconti sono il mio mezzo preferito, ne scrivo sempre. Ho appena finito la prima bozza del mio secondo romanzo: parla della codardia e non riguarda soldati questa volta.
E’ una domanda difficile perché sei al tuo primo libro, ma la faccio lo stesso: che tipo di lettore hai in mente?
A volte chi scrive parla anche di quelli per cui scrive. Una volta ho sentito dire da uno scrittore che il suo libro era per chi s’imbarcava a Londra e scendeva a Shangai, in questo caso parlava del tempo di cui avevi bisogno per leggere il suo libro. Io scrivo per me stesso il più possibile e non penso troppo a quale lettore possa leggermi anche se, certo, spero siano i più possibile. E fa sempre piacere quando qualcuno che non sa veramente niente dell’esercito, legge il mio libro e gli piace.
Non ho mai pensato al mio libro come ad una lettura militare. Ma quando finisci sul mercato, vieni classificato come romanzo di guerra. Quindi, per me, è carino quando sento i lettori dire ‘oh, guarda, non avrei mai preso il tuo libro, ma…’
Il libro ha una dedica di copertina?
Sì, a mia madre, a mio padre e a mio fratello.
Hai per caso in mente di tornare a lavorare o collaborare in qualche maniera con l’esercito?
Ho terminato il mio servizio, nel senso che non sono più un soldato. Certo, vedo ancora i miei amici che sono ancora lì e ancora lavoro in qualche chiarity dell’esercito, talvolta. Insomma, sono ancora un po’ coinvolto. Ma la mia vita ora riguarda molto qualcosa d’altro.
Quando sei sotto le armi, hai una vita molta cooperativa e tanto cameratismo. Gli scrittori invece sono al lato opposto: sono molto solitari e l’isolamento è spesso una costante nelle loro vite. Che incontri fai nella tua routine lavorativa ora che sei uno scrittore?
Sì, ho la mia famiglia e, certo, vedo spesso i miei amici. Per me la solitudine può essere molto importante perché non sono quel tipo di scrittore che sta sempre isolato. Quando arrivo ad un buon punto e la storia va avanti quanto basta, posso essere più sociale. Quando cerco di essere creativo o devo risolvere un problema, come se fosse uno strano esperimento mentale sono molto nel mio mondo scrittorio e devo stare solo. Ogni altro momento devo invece stare nel mondo, perché è lì che trovo più materiale per scrivere.
Cosa la tua città, Londra, ti dona – e tu con cosa ricambi?
Quando vado nei piccoli centri oppure in campagna, tutti guardano alle mie gambe e mi chiedono – cosa è successo, cosa sono le protesi. A Londra io sono semplicemente uno stano come tanti, questo veramente mi piace. Londra non ha limiti. Cosa posso dare io, uno su 12 milioni, a Londra? Non ne sono sicuro. Sorridere a tutti, è già abbastanza!
La tua passione culinaria preferita?
Adoro cucinare, mi ricorda uno stato di vaghezza. E’ un’attività in cui non devi pensare molto. E mi piace mangiare di tutto.
La musica ed il libro con te ora?
Mi piace tutta la musica. Quando scrivo preferisco la classica minimalista. Oggi, per esempio, ascolto Bastille. Ed il libro con me ora, viaggia con me, è Pincher Martin di William Goldin (uno scrittore inglese). Conosci Il Signore delle Mosche? William Goldin vinse il Nobel col suo primo romanzo.
Un talento che hai, uno che ti manca?
Mi piace essere ‘musicale’ in qualche maniera, ecco la ragione per cui ascolto ogni tipo di musica.
Penso di avere un talento ad immaginare.
Harry: e qual è il tuo talento?
Io: Questa è proprio una bella domanda, me lo chiedo tante volte e sono sempre senza una conclusione, ecco perché mi sono convinta di non avere alcun talento in particolare…
Harry: Perché?
Me: Perché un sacco di gente oggi sa scrivere, fare foto e film – tutto insieme. C’è un sacco di gente multi-talento lì fuori, specialmente i giovanissimi.
Harry: Sono multi-talento o sono persone che stanno dove possono fare un sacco di cose?
Me: Sì, anche questo ma producono dei risultati a parte sperimentare …
Harry: Questa si chiama determinazione. Penso che il talento sia solo una parte della storia, il resto è determinazione e pratica.
Me: Sì, ma io penso che bisogna essere provvisti di un dono, qualcosa di primigenio e naturale che ci viene con la nascita.
Harry: Sì, anche…ma il dono è spesso molto più di quel che si pensa. Prendi me, per esempio. Io ero dislessico e per me era molto difficile studiare matematica e inglese. Ma trovavo facile i corsi di arte. Non ero nato con un dono per il disegno, ho solo passato un sacco di tempo a farlo per imparare.
Me: Intendi che in questo modo hai acquisito quella ‘abilità’…
Harry: Se inizi a cinque anni e continui…
Me: Detto tutto ciò, potrei dirti che sono un’ottima ascoltatrice, forse – ma non più di quello…
Harry: Questo è uno dei migliori talenti possibili…
Me: Cosa hai imparato sin qui dalla vita, prima e dopo il miracolo che ti ha riportato a casa dai tuoi cari?
Harry: le tue domande sono in pratica le più grosse che qualcuno possa chiedere…
Me: Io ad esempio dalla vita non ho imparato proprio niente eccetto il fatto di come non ripetere gli stessi errori due volte… e sono grata alla vita, anche se ci ho messo più di 40 anni ad imparare..
Harry: Vediamo, cosa ho imparato….Quando sei con la faccia a terra nella polvere e stai morendo, è la cosa più solitaria del mondo (è anche dolorosa, va bene, ma tutto il dolore si manifesta essendo da soli).
Ora che vivo la mia vita di nuovo, quello che veramente apprezzo è la relazione umana. Le connessioni. Quando sei solo carne, può essere qualcosa di veramente solitario, per chiunque. Anche se hai una relazione ed una famiglia, può essere molto strano essere lì immoto e non capire cosa gli altri pensino in un momento così importante, è folle.
Quello che m’importa realmente è essere connesso con qualcuno. E’ la cosa più eccitante per me. E’ dove la vita da il meglio di sé.