Tra Milano e il Medio Oriente: un imprenditore a Milano
Il volto di Hisham è gioviale e accogliente. Ci conosciamo da diversi anni, spesso vengo a prendere la pizza da lui, e mi ha sempre colpito la sua timida cordialità e il suo gentile sorriso. Ci sediamo nella stanza non fumatori della sua pizzeria all’inizio di una serata di inizio gennaio 2014. Spostiamo i coperti già predisposti per la cena, e – in attesa di avventori – iniziamo l’intervista.
Come sei finito in Italia?
Sono nato a Jenin, con passaporto giordano, nel 1960 e fino alla fine delle scuole superiori sono stato in Palestina. Ho deciso poi, visto che non c’erano molte prospettive nel mio paese, di venire in Italia a cercare un lavoro. In Italia c’era già un mio fratello e così decisi di andare a Perugia a imparare l’italiano – tanto per cominciare. Dovetti lasciare la Palestina per poter sperare di trovare un lavoro soddisfacente, come molti della mia famiglia: due mie sorelle oggi vivono in Arabia Saudita e in Kuwait, mentre dei miei tre fratelli sono uno è tornato in Palestina dopo anni di permanenza all’estero, mentre gli altri due sono in Canada e negli Emirati Arabi.
Dopo la scuola a Perugia dove ti sei trasferito?
Ai miei tempi, era piuttosto facile avere un permesso di soggiorno per studenti. Ne ottenni uno in poche ore ad Amman, arrivai a Milano e mi misi a studiare odontotecnica, e iniziai subito a fare pratica con un mio professore. La professione mi piaceva, e dopo il diploma conseguito nel 1985 iniziai a lavorare come odontotecnico per un paio d’anni. Ma sentivo che non era il lavoro per me, e così non appena mi offrirono un lavoro come assistente manager in un’azienda che si occupava di import-export con il Medio Oriente accettai con entusiasmo. Cominciai a viaggiare, tenendo come base Milano: Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Qatar, Yemen, Giordania. Esportavamo di tutto – dispositivi medici, arredamenti interi, mobili. Era un lavoro che mi piaceva anche perché mi permetteva – pur viaggiando – di stare vicino alla mia famiglia.
E ti eri ambientato bene a Milano?
Sì, mi trovavo molto bene, ma nel 1990 mi offrirono un lavoro a Riad, sempre nell’ambito dell’import-export e decisi subito di accettare. Mi trasferii con tutta la mia famiglia – moglie e un figlio nato qualche anno prima – ma non durò molto: nonostante anche mia moglie si fosse ambientata facilmente (aveva trovato un lavoro come insegnante di arabo in una scuola italiana), non ci sentivamo liberi: non si poteva uscire dalla città senza il permesso del datore di lavoro, non potevi viaggiare, non potevi disporre liberamente del tuo passaporto. Tutto questo ci sembrò intollerabile. E così nel 1991 decidemmo di tornare a Milano.
Fu facile reinserirsi in città?
Per niente. Avevo una casa – quella di mio fratello – ma inizialmente non avevo un lavoro. Trovai poi un impiego come rappresentante presso un’azienda di mobili a Brugherio e ci rimasi fino al 1994. Mi nacque il secondo figlio, e a Brugherio comprammo casa – ma dopo pochi anni i continui viaggi non mi piacevano più come all’inizio. Come rappresentante, avevo sì conosciuto l’Italia, soprattutto il Sud, ma volevo passare sempre più tempo in famiglia – cosa incompatibile con il mio lavoro. Trovai così un lavoro presso un’impresa edile, e ci restai per qualche anno. Sotto il profilo lavorativo, furono gli anni meno appassionanti. E così decisi di licenziarmi e nel 1998 acquistai una piccola pizzeria sul Naviglio pavese. E mi appassionai al lavoro di ristoratore, investendo sempre più nella mia pizzeria – che, col tempo, venne ingrandita e ammodernata.
Essere imprenditori nel settore della ristorazione ti ha dato soddisfazioni?
Moltissimo, mi piace l’indipendenza. E poi abbiamo sempre avuto molti clienti. Almeno fino a pochi anni fa: la crisi si è fatta sentire anche da noi. Soprattutto negli ultimi due anni. Non si lavora più come prima. Nonostante io lavori tanto – almeno dodici ore al giorno. Non vorrei che i miei figli facessero il mio lavoro, studiano entrambi all’università: il primo, in Cattolica, studia Scienze Motorie mentre il secondo studia Scienze Alimentari alla Statale.
C’è un avventore che ti ha colpito particolarmente in tutti questi anni di attività?
Mi colpì la semplicità di Michele Placido che venne a mangiare da noi una volta. E poi un cliente, elegante, distinto, con un cappotto lungo di ottima fattura, che sosteneva che vi fosse un chiodo nella pizza! Figuriamoci… Gli dissi che avremmo potuto verificare, che mi sembrava molto improbabile che vi fosse un chiodo. Era solo un modo per farsi abbonare una pizza, credo, perché poi lasciò cadere la cosa. Ancora, un altro cliente – questa è la storia più buffa che mi sia capitata – che ha mangiato e poi è uscito senza pagare. Peccato che avesse dimenticato il cellulare in pizzeria! Tornò a cercarlo, e io non gli diedi il cellulare…
Cosa ha fatto Milano per te?
L’Italia ha fatto tutto per me, mi ha fatto vivere con serenità e senza difficoltà. Mi ha dato davvero grande serenità per poter fare tutto quello che volevo. Un paese che ti ospita va visto con tanto affetto. E, più che un paese come l’Italia, una città come Milano.
Cosa hai fatto per Milano?
Ho creato lavoro, credo di aver offerto opportunità ad altre persone – così come la città le ha offerte a me. Diverse persone (italiani ed egiziani) lavorano con me, e credo che questo sia il mio contributo alla società e a Milano in particolare. Ho anche scritto una poesia in arabo per Milano, una città che amo e che mi commuove. Torno spesso a Jenin (almeno due volte l’anno), ma torno a Milano sempre con molto piacere.
Qual è un momento della tua vita che ricordi con particolare piacere?
A parte la nascita dei miei figli, ho un ricordo molto bello legato alla mia permanenza in Italia. Quando lavoravo per l’impresa edile a Brugherio (1995, n.d.r.), e professionalmente non mi trovavo molto bene, mi sentivo senza speranza: intrappolato in una vita che non mi piaceva. Mi è arrivata una telefonata del tutto inaspettata da un curatore fallimentare, che seguiva la liquidazione della società di import-export per la quale avevo lavorato e che era fallita anni prima. Mi telefonò, si presentò e mi chiese se fossi Hisham El-Taher. Risposi affermativamente, temendo che ci fossero cattive notizie. E invece mi comunicò che c’era un assegno da 17 milioni di lire (circa 9.000 euro) che mi aspettava: stipendi arretrati che non avrei mai pensato di ricevere. Mi sembrò un segno del destino. Furono i primi soldi che mi consentirono di cambiare vita, ottenendo la gestione della pizzeria dove ci troviamo.
Quali sono il tuo piatto preferito e la bevanda preferita?
Sembrerà strano, ma nulla batte un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e un bicchiere d’acqua – l’acqua ha un ottimo sapore, un gusto che mi piace.
Che musica ascolti?
Mi piacciono le parole, e mi piace l’italiano. Mi piacciono cantautori come Renato Zero, Lucio Dalla e Gianna Nannini.
Un talento che hai e uno che ti manca.
Sono tenace, e coraggioso. Ma sono anche timido. Strano, no?