Larisa Mann, NY+Philly

 

La tua storia in poche righe, iniziando dall’infanzia così i nostri lettori possono capire davvero da dove tutto ha avuto inizio

Sono nata e cresciuta in un sobborgo di Boston, Massachussets: i miei genitori non erano di lì, si sono incontrati a San Francisco negli anni ’60. Amavano la poesia ed il jazz, erano attivisti.

Sono cresciuta studiando alle scuole private perché quelle pubbliche nel mio quartiere erano assai cattive, sono stata fortunata che il padre di mia madre abbia pagato per la mia istruzione – questo ci ha trasformati in una famiglia medio borghese.

Mia madre era una professoressa all’università pubblica (una scuola pensata per i lavoratori delle classi meno abbienti dell’area di Boston). Era un posto fantastico e da bambina ci ho passato un mucchio di tempo, mi ricordo che correvo lungo i corridoi e giocavo tanto mentre lei lavorava.

Ero sempre interessata alla musica e alla storia: mia madre è una storica e mio padre un etno-musicologo, ma anche un poeta e un musicista jazz. Posso proprio dire di aver combinato i loro interessi!

Ero un pochino coinvolta nell’attivismo quando sono andata alla scuola superiore e poi all’università ero impegnata come dj nella radio di ateneo: si trattava di una università d’arte liberale nell’Ohio.

Suonavo all’epoca anche in una band punk, quando ero ancora a scuola, ma ho continuato anche all’università!

Sì, insomma, avrai capito che ero interessata in tante cose che possono sembrare così separate: ora, riguardando indietro, torna tutto e torna insieme ma a quei tempi non potevo saperlo.

Sono stata spesso a manifestare (contro la guerra, le armi nucleari, a favore dei sindacati), ho anche lavorato per un sindacato per qualche tempo (si trattava di un sindacato per impiegati, che quindi aveva un modello organizzativo assai particolare avendo a che fare con un posto di lavoro così specifico).

Ho imparato un sacco da tutte queste esperienze, e l’aver suonato in una band punk mi ha aiutata a forgiare la mia identità e anche in seguito, al college, quando mi sono avvicinata alla scena rave.

Dopo l’università, sono tornata a Boston dove ho cominciato a fare la dj. Più passava il tempo, più sentivo che quel che univa le persone attorno alla musica era proprio il tipo di attivismo che volevo portare avanti.

La maggior parte degli attivisti di cui ero stata parte sinora (prima di allora, intendo) erano persone bianche di classe media, quindi non erano naturalmente propensi a capire come lavorare con altre persone che vengono da esperienze diverse.

La musica per me è stata un modo di rispettare le differenze, mentre nella scena politica non era così facile perché occorreva sempre avere un fare meditato. Ho sempre prestato attenzione al lato sociale della musica.

 

 

Che differenza (e quanta) hai trovato da dj quando hai iniziato a fare tour nel Regno Unito e più in generale in Europa, proprio nel senso di capirne le scene ed il modo in cui lì le persone interagivano forse un po’ meno (o non solo) nell’ottica del ‘tempo libero’ e del divertimento ma anche con un fare più impegnato?

Per me è stato sconvolgente osservare tutto ciò, venendo dagli Stati Uniti.

Andai a Londra nel 1999 e lì vi trovai una contro-cultura più grande e già più forte della nostra, ad esempio quello che avveniva negli ‘squat’ (allora era assai potente, oggi è praticamente morta), era lì che veramente trovai persone convinte e sicure di trovare uno spazio fuori dallo stato. Per me è stato strabiliante, mi ha aperto gli occhi.

Questo è molto difficile potesse accadere, ora come allora, negli Stati Uniti – se accade è molto marginale.

Ho adorato il modo in cui la scena rave e le radio pirata lavoravano in Europa.

Io ero al limitare della cosiddetta scena ‘free techno’, non suono quel tipo di musica. Io faccio jungle e break core, non mi piace la cassa in 4/4.

 

 

L’Inghilterra era proprio il posto adatto per il tuo sound..

Certo, lo era.

Tornando alla scena free techno, mi piaceva assai la politica e non avevo mai visto prima di allora un posto dove le persone erano esplicitamente anti-capitaliste, anti-stato, creando un luogo per la musica che fosse totalmente fuori controllo. Certo, ero sicuramente familiare con la politica marxista – i mei genitori erano radicali, mia madre una socialista – ma mi ha veramente colpito vedere tutti questi techno-addict parlare di cose tipo Hakim Bey, etc…

Tuttavia, queste persone non parlavano assai di alcuni temi di cui mi interesso molto – razza per esempio – anche se la loro musica è derivata da un’evoluzione della musica nera. Non sentii però neanche tanto parlare di altri temi fondamentali per me, come l’immigrazione ed il colonialismo.

 

 

Adesso hai raggiunto un momento della tua vita dove si può dire che hai impersonificato completamente l’eredità intellettuale dei tuoi, perché sei appena stata nominata professore a tempo indeterminato in un’università pubblica a Philadelphia.

E’ come se, in un certo senso, stessi restituendo tutto quello che hai appreso durante la tua infanzia.

Insegni teoria e studio dei media. E, ovviamente, hai testimoniato il profondo cambiamento di questa particolare industria nel tuo paese, forse quello recente è uno dei più aspri e più critici punti della presente amministrazione…e più in generale della democratizzazione degli Stati Uniti.

Ne avevamo discusso anche ieri, e voglio tornarci sù: i media diventano sempre più grandi (e quindi ancora più semplici da addomesticare), ma quale relazione hanno i tuoi studenti con la lettura? Sono coscienti del potere che riveste o sono pigri, ed ancora: hanno una loro relazione con la scrittura?

Che strategie ti inventi per combattere l’analfabetismo di ritorno e ci sono anche azioni organizzate a livello centrale per prevenire e combattere questo enorme fenomeno che accomuna tutte le nazioni non solo la vostra?

Quando ero dentro la musica e l’attivismo, entravo e uscivo dall’accademia ad esempio a Londra dove frequentavo un master della London School of Economics, e dove anche facevo la dj nei posti underground e negli spazi d’arte.

Mi sono presa quattro anni non accademici, per così dire, quando sono tornata poi a NYC dove sono stata una volontaria nei party illegali e dove ho fatto spesso la dj. Ho anche fatto la volontaria medica durante proteste anti-capitaliste e contro la guerra, ve ne era molto bisogno, non abbiamo un vero sistema sanitario qui da noi, specialmente per persone ai margini.

Ero anche sostenuta da borse di studio ed altri programmi qui e lì in quegli anni.

Una delle cose che ho imparato da mia madre – quando insegnava all’università – era la revisione dei curricula. Dato che le università pubbliche negli Stati Uniti sono di base fatte per i poveri, per i lavoratori fuori-sede, i formati dei curriculum non sono pensati per loro. Anzi, di queste persone manco ci si aspetterebbe che vadano in un’università…Quindi, è vero che loro – anche prima dell’avvento delle nuove tecnologie – magari non hanno mai avuto una buona relazione con la lettura. Ed è anche vero che molta parte delle azioni di scrittura neanche fanno tanto per loro e neanche riflettono le loro esperienze o tantomeno la loro realtà.

Ho imparato in questa storia da mia madre che non è questione di insegnare loro una tecnica o di far di loro dei lettori passivi: serve far capire loro la rilevanza della scrittura e della lettura, ed ancora la penso così ora che tocca a me farlo.

Non certo sto a significare che i poveri non possano leggere teoria, ma alcune delle regioni per cui  non la leggono è perché non aiuta o non riflette o condiziona le loro vite. Non sono una teorica per il bieco gusto della teoria, deve essere utile.

Quando leggo le teorie libertarie, non mi aiutano ad avere a che fare con il potere corporativo. Non certo significa che non le leggerei per vedere cosa dicono, ma per gli studenti che cercano un modo per stare al mondo, devo trovare il modo di dar loro cose adatte da leggere. E’ una sfida ed è anche vero che molta accademia è ostile ai poveri, alle persone di colore.

E’ una risposta naturale, la loro, quella di essere ostili dal loro canto quando leggi qualcosa di che ti intimidisce oppure che non è scritto per essere trasparente. Li capisco. Non è certo meglio perché è difficile da capire! Infatti cerco di chiedere loro di leggere anche scrittori per vedersi come creatori di conoscenza tale quale quella che leggono.

Si fa un lavoro differente nelle università pubbliche. E io sono felice di insegnare qui.

Le mie classi sono composte da persone cui l’università può davvero cambiare la vita perché la nostra società non si aspetta che loro siano lì a studiare – è questo quello che mi attrae maggiormente!

Ho ancora qualche fiducia che un grande cambiamento sociale possa accadere. Per farlo, devo lavorare anche per loro, considerando che la loro realtà ha meno potere di altre.

Dovremmo prestare attenzione al fatto che che devo dare loro un vocabolario differente per reclamare i loro temi. Faccio qualcosa di simile anche quando faccio la dj. Creo uno spazio dove le persone possano sentirsi importanti, dove comunità differenti e marginalizzate possano sentirsi meno così.

 

 

E a proposito del tuo rapporto con New York, anche se da qualche tempo sei più a Filadelfia? Cosa pensi di dare alla città (come cittadina, se possibile congelando un attimo la docente, l’attivista e la dj) e cosa ne prendi in cambio?

Penso che NYC mi dia l’energia più grande, è il più grande ambiente multiculturale al mondo.

Non vieni qui se non sai cosa vuoi…qui tutto si muove nel modo più veloce al mondo e adesso che guadagno di più e non devo fare tre mestieri al mese – e che mia madre è in buona salute e quindi non devo preoccuparmi – finalmente me la posso godere.

La città è così costosa, un sacco di comunità non hanno pertanto accesso alla sua energia.

Parte del mio lavoro con la musica è proprio contribuire positivamente a dare spazio – uno spazio più sicuro – alle persone. Lavoro, per esempio, affinché i club siano più sicuri (e in questo senso non si può fare affidamento sulla polizia, perché non si comporta bene per la comunità di cui faccio parte), affinché si prevengano le violenze sessuali sia all’interno che all’esterno della scena, e via dicendo. Sono davvero diventata più responsabile su questi aspetti, e quindi credo che in questo modo anche stia dando qualcosa in cambio a NY.

 

 

Qual è il posto in cui ti nascondi qui a NY quando hai bisogno di rallentare il passo?

Penso che per molte persone sia importante avere uno spazio, qui gli affitti sono così costosi che ognuno può avere solo una piccola stanza senza spesso cucina (ecco perché ci sono così tanti bei ristoranti in città).

Sono fortunata, serena, felice che il mio compagno possieda la sua casa e quindi posso andare lì e prendermi una pausa, di solito abitavo in una stanza piccolissima e rumorosa dove persino dormire era difficile.

Adesso non si tratta di qualcosa di ‘geografico’, si tratta di me e del mio partner a casa.

 

 

Qualcosa di speciale per te quando si parla di mangiare e bere?

Credo, ad oggi, di essere vegetariana da 20 anni.

Sono stata molto invidiosa di Ravish (Momin, il suo partner, che è un musicista sperimentale che suona anche con il nome di Tarana) perché è stato recentemente in tour in Singapore e Malesia dove ci sono un sacco dei miei piatti preferiti, cioè tutto quello che è fatto con il cocco! E mi piace anche l’indiano! Mi piace tutto il cibo che viene in genere dall’Asia del sud, dall’Indonesia e dalla Malesia. Ma anche il cibo etiope e molte altre cose.

Sono davvero fortunata a vivere in città cosmopolite dove posso avere tutto il cibo che mi piace!

 

 

Dove ti vedi tra 10 anni da ora? Sarai ancora così contenta di vivere facendo tutte queste cose o preferirai esplorare nuovi posti?

Due anni fa, prima che ho avuto il lavoro di docente universitario, mi chiedevo se avessi mai avuto il livello energetico sufficiente per fare tutto – insegnamento, dj, attivismo – insieme!

Quando ricevi un incarico di docenza a tempo indeterminato come è accaduto a me, è talmente rara come occasione che cerchi di tenerla a tutti i costi!

C’è un’altra cosa: se come me sei sulla scena musicale a 44 anni, sembri alle volte troppo ‘vecchia’ per condividerla con i giovani soprattutto perché loro ti vedono di più come un mentore che come un performer accanto a loro (e specialmente se sei femmina, questo accade ancora di più perché va detto che la musica è una scena molto ‘maschile’ e inoltre puoi essere dimenticata in fretta se non suoni in giro tanto, tutto questo è veramente stancante).

Mi do da fare anche partecipando alla discussione, al lato culturale della musica, facendo workshop, lezioni, conversazioni ma non mi sembra di ottenere tutto il divertimento che mi da quando sono a suonare o danzare.

Voglio dire un’ultima cosa che riguarda l’effetto ‘Weinstein’ nella musica.

Ci sono un sacco di rivelazioni che vengono fuori pure qui, alcune di esse sono davvero molto vicine al mio circuito. Qualcuno con cui ero solita suonare è stato scoperto aver violentato una donna e questo mi ha reso furiosa, non lo sapevo poiché nessuno si sentiva abbastanza sicuro a parlarne!

Tra dieci anni, mi farebbe piacere essere in grado di supportare questa scena musicale e farla essere così come accade ora, anche se non in un’istituzione ma da dove posso incoraggiare i più giovani a provare e a renderla un posto ancora più interessante, meno sessista e meno razzista. Ovviamente mi piacerebbe ancora continuare a fare musica, magari finalmente producendo i miei pezzi!

 

 

E scrivere un libro?

Sono alle battute finali del mio prossimo titolo, non ho ancora un contratto ma ho mandato il manoscritto all’editore e ho buone sensazioni gli potrà piacere.

Si basa sulla mia tesi (musica popolare e leggi sul diritto d’autore): se guardi davvero da vicino cosa è accaduto in Jamaica, tutti noi potremmo capire meglio come proteggere i diritti senza affidarci a sistemi coloniali di potere e all’attuale sistema di copyright. Essendo felici e guadagnandoci!

In poche parole, questo libro racconta di un modo migliore di fare cultura ma anche un differente modo di relazionarsi alla sovranità.

 

 

Penso che una come te ha imparato così tante cose dalla vita sinora, qual è la più tosta?

Oh, Madonna, un sacco e in così tanti contesti differenti – più campi più…

Per me personalmente, forse una delle più importanti è forse molto particolare e ha a che fare con la comprensione di come il potere lavora con la società e specialmente con la razza. E la mia relazione con tutto questo. E’ qualcosa di davvero molto americano e ha a che fare con l’essere bianchi, cioè il sistema di potere di cui sei complice…

Per me è stata ed è la più grande rivelazione, certo non è ancora terminata ma tutto sta a come mi confronto con essa. Ed include il lavoro sulla Jamaica, un paese colonizzato per esempio, cerco di trovare anche lì modi per contribuire. Ho fatto volontariato nel loro sistema delle prigioni e spero ancora di fare altri buoni contatti con le persone.

La seconda è più recente ed è collegata al fatto che ora sono un professore universitario. Sono per la prima volta dentro a un’istituzione. Per me tutta la vita sono stata fuori, alzando il pugno ed essendo critica dall’esterno!

Quali sono quindi le mie responsabilità dato che ora ho un qualche potere? Come posso dare accesso ad esso alle persone che invece non lo hanno?

 

 

Per ascoltare Larisa aka DJ Ripley: DJ Ripley: https://soundcloud.com/ripley

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