Moving Backwards è uno di quei (rari) esempi in cui l’arte incontra la vita vera e si occupa – non richiesta e non autorizzata, in fondo, dal suo ruolo – di prendere posizione e invadere il campo della politica e delle interazioni sociali.
Il Padiglione Svizzero alla Biennale d’Arte di Venezia (fino al 24/11) è stato trasformato in un ‘abstract club’ ai Giardini. Un luogo di finzione che ci precipita immediatamente nello stato in cui siamo: inermi tuttavia discosti da questa politica urlata – la maggior parte di noi incapaci di reagire.
Due artiste di stanza a Berlino e note per uno stile non convenzionale che mischia danza e arte (Pauline Boudry / Renate Lorenz) ne sono le autrici.
Non è un solo un film per capitoli che ospita cinque coreografie (dei performer Julie Cunningham, Werner Hirsch, Latifa Laâbissi, Marbles Jumbo Radio e Nach) dove si è invitati alla visione attraversando una tenda da teatro meccanizzata i cui movimenti partecipano al leitmotif della storia: camminare all’indietro.
Per noi, questa opera è un vero atto di ribellione; secondo le artiste, è un modo di rifiutare questo status quo di politica muscolare e liberticida: ricucire, rielaborare il contraccolpo dall’asprezza della vita e delle tensioni politiche. Opporsi alla linearità ineludibile dei fascismi, dei totalitarismi. Not in my name, sembrano dire. E lo fanno, veramente, accompagnando l’esibizione con un giardino provvisto di sgabelli e un giornale a distribuzione gratuita che include lettere, saggi e altre forme di scritti di molti autori diversi su temi quali colonialismo, suprematismo, cultura queer e molto altro.
Ci è piaciuto così tanto quello che abbiamo visto perché funziona benissimo e restituisce un messaggio di rara intensità.
In tempi in cui il dialogo è così difficile abbiamo voluto incontrare chi questa mostra l’ha resa possibile finanziandola con Pro Helvetia, cioè il commissario governativo (la manager svizzera, Marianne Burki), che ha sposato il tanto coraggio delle artiste con una proposta così dirompente che viene in mostra al festival d’arte più visitato al mondo
La tua vita in poche righe, specialmente i tuoi primi anni e i sogni di allora sulla te che saresti diventata
Mi sono sempre interessata ai mondi che non conoscevo, ad avere opinioni e visioni diverse sulle cose, a intraprendere sfide nuove. E ho sempre amato i dibattiti appassionati e gli incontri stimolanti. Certo, ora, con la mia professione, voglio davvero cercare e vedere l’invisibile e quel di cruciale che esiste nelle società.
Lo Swiss Council Pro Helvetia per cui lavori ha come missione (in tutto il mondo) di potenziare il messaggio e la presenza della scena creativa svizzera anche in arene molto competitive (dai festival come la Biennale di Venezia al mercato artistico quotidiano) e si occupa di promuovere tutte le arti – letteratura design e altre discipline – oltre l’arte visiva che resta un po’ più l’argomento della nostra conversazione.
Prima di chiederti circa il messaggio che ho sentito promanare dal Padiglione Svizzero alla Biennale Arte in corso, volevo chiederti se ti senti preoccupata dal fatto che tanti talenti formati in Svizzera dalle importanti accademie d’arte del paese (da HEAD a Ecal, solo per citarne due) sono persi quando si laureano e devono lasciare il paese non essendo residenti.
Certo, molti paesi hanno consimili problemi di visti con i loro studenti stranieri.
La Svizzera, tuttavia, assiste a un’emorragia di talenti in una direzione e perde quello che scuole, università, agenzie mettono faticosamente in piedi con sistemi d’istruzione, scambi, stage e molto altro…
La mobilità è il grande tema oggi… E gli artisti devono lavorare internazionalmente per capire molti contesti e quello che potrebbe significare per il loro lavoro. Tanti più sono i contesti dove vivono, meglio è per loro.
Oggi, l’idea di un artista ‘svizzero’ o ‘cinese’ è molto arbitraria perché molti di essi prendono ispirazione e anche istruzione da una varietà di luoghi. Ovviamente, in un mondo ideale, sarei felice che artisti di ogni nazionalità influenzassero questo campo in Svizzera ma anche all’estero. Detto questo, c’è una permanente contraddizione tra il desiderio di mobilità e le politiche di visto.
Il Padiglione Svizzero alla Biennale d’Arte 2019 incarna molte delle tendenze che sono state viste all’opera in altre proposte artistiche e curatoriali: un set e video design assai curati per rappresentare e diffondere concetti politici (spesso legati a questioni di genere e alla cultura queer).
Il Padiglione stesso è stato completamente e accuratamente ridisegnato per servire a questo scopo….ripensando la funzione dello spazio esterno ed interno come se fosse una sola unità di senso. Oltre a ciò, il messaggio del ‘camminare all’indietro’ e soprattutto la dichiarazione di non essere ‘rappresentati’ da un governo è condiviso – nel dibattito artistico attuale – da un gruppo di altri artisti che si sentono chiamati del pari ad essere più coinvolti socialmente.
La curatrice Charlotte Laubard, che peraltro è la direttrice della sezione Visual Art alla scuola HEAD, ha molte esperienze nel sostegno di arte con forti temi sociali, ha anche curato eventi diversi come La Nuit Blanche e in passato è stata consulente di fondazioni come la Pinchuck Art Centre (Ucraina).
Siamo curiosi della reazione della stampa svizzera a proposito del padiglione e in questo preciso momento storico che sia la Svizzera che l’Europa attraversano e condividono.
Quali sono stati i tuoi sentimenti personali una volta che hai visto il padiglione (se possibile pensando di essere parte di un pubblico qualsiasi)?
La stampa è stata interessata a inquadrare il progetto nella cornice della società svizzera, qui le opinioni sono assai differenti come puoi forse immaginare – sia a riguardo di cosa il tema del padiglione abbia a che fare con la società svizzera, o sul tipo di messaggio assai sottile che le artiste hanno condiviso con il pubblico. La stampa svizzero-tedesca è stata un po’ più critica nel commentare il padiglione rispetto alla stampa di altre parti del paese e specialmente di quella internazionale, che invece è stata molto positiva (per esempio Le Figaro, o altri magazine che sono soliti fare classifiche, hanno dato cinque stelle al padiglione!) e dipende da quel che hai detto: il padiglione ha un grosso standing politico e una visione artistica molto molto chiara e concisa nel ridisegnare lo spazio come un insieme da abitare e attraversare, come se fosse un’esperienza immersiva.
Quando l’ho visto per la prima volta, non ho potuto immaginarmi un visitatore normale neanche un minuto – avendolo conosciuto da cima a fondo in ogni singolo dettaglio (in teoria, concept e sviluppo). Ma avevo comunque immaginazione e aspettative con cui mi sono confrontata.
E’ stato in ogni caso davvero fantastico vedere come ero guidata attraverso questo lavoro da ogni elemento che lo compone. Ero assai affascinata per esempio da una qualità potente, e personale, di ognuno degli oggetti – la tenda ma anche la coreografia.
Mi sono profondamente confrontata con l’idea che non c’era distinzione tra tutti gli elementi d’arte che tocca territori diversi (dalla performance al giornale che viene dato a tutti i visitatori). Ad esempio questi momenti di lettura sono così personali e diretti – direi anche molto toccanti. Per me è stata un’esperienza indimenticabile – sia o perché ci ho lavorato tanto prima.
Cosa pensi di restituire al tuo paese, da cittadina, e cosa pensi di prendere?
A Pro Helvetia cerchiamo veramente di dare il massimo per formare uno spazio sperimentale per l’arte. Ed è qualcosa da fare sempre per il futuro: dobbiamo rischiare perché è una ricerca per il tempo a venire. Certo, questo è anche quello che riceviamo in cambio e poi ovviamente ci occupiamo, su un livello più pratico, di fare il possibile per rendere l’arte svizzera più visibile all’estero.
Con il Padiglione Svizzero cerchiamo di dare ad un’opera od un progetto lo spazio migliore che merita. E’ stato molto bello, ad esempio, che l’anno scorso il Padiglione Svizzero abbia vinto il Leone d’Oro per la prima volta (si trattava della Biennale d’Architettura) e questo fatto da solo per me è una grande ricompensa.
Amo dove lavoro e per cosa lavoro, mi piace sempre tanto vedere come i progetti si sviluppano, mi fa felice vedere le cose migliorare e divenire più precise col passare del tempo.
Siamo sempre interessati a come e dove le nostre ‘persone di questo mondo’ leggono e ascoltano musica. Quindi ci piacerebbe per favore sapere che libri hai tra le mani e che musica ascolti ora.
E se puoi, qual è l’ultimo autore svizzero che hai letto, in prosa o poesia…
Sulla musica, adoro Aisha Devi e Camilla Sparkss ma non posso smettere di ascoltare Das Wohltemperierte Klavier di Bach e infine uno dei miei pezzi super preferiti quando ho un momento di quiete: Eugenio Onegin (un’opera di Pyotr Ilyich Tchaikovsky). Quindi, vedi, mischio passato e presente.
I miei autori preferiti? Mi è sempre molto difficile rispondere solo con uno, dato che cambia costantemente. Mi è piaciuto molto scoprire “Deine Nacht mein Tag” o “Panda Sex” dello scrittore cinese Mian Mian. Adesso leggo“Retour à Reims” di Didier Eribon.Penso sia una disamina davvero precisa sulla nostra società e del perché e del come la classe lavoratrice si sia spostata a destra. Un’altra autrice che adoro e che non posso smettere di leggere è Melinda Nadj Abonji. Ho conosciuto il sul lavoro con il romanzo Tauben fliegen auf e le sue domande molto approfondite sulla società e l’identità!
Dove ti vedi tra dieci anni?
Viaggiare, scrivere sui blog di arte e cercare di raggiungere sempre un’audience più vasta. Mi vedo sempre a lavorare sullo stesso tema: fare dell’arte qualcosa di visibile e valido nella vita di tutti i giorni e posizionarla sempre in diversi contesti, ovviamente conoscendo e imparando sempre di più. Più in generale voglio fare del ruolo dell’arte qualcosa di ancora più stringente nella società. Perché concepisco l’arte come la base del nostro convivere – e quindi voglio continuare la mia ricerca ed esplorazione attorno ad essa.
Cosa hai imparato sin qui dalla vita?
Questa è davvero una grossa domanda! Penso sia meraviglioso continuare a sorprendersi e prezioso come questo continuamente accada e come tutto possa sempre svilupparsi oltre ed oltre. Per tenersi sempre appassionati a ciò che si fa, ho imparato anche ad essere distante da tante distrazioni. Beh, diciamo che provo a fare del mio meglio, del mio meglio!
L’immagine di copertina di Marianne Burki è courtesy Pro Helvetia
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