Stefania, fotografa e regista

 La tua storia in dieci (o più) righe

C’è poco di usuale nella mia vita.

Uscita, all’età di quindici mesi, miracolosamente indenne da un incidente d’auto che mi ha resa orfana di entrambi i genitori, sono stata adottata da una famiglia italo-colombiana con la quale ho trascorso, a Cali, in Colombia, tutta l’infanzia e la pre-adolescenza. Da questa terra forte, violenta, contraddittoria, ho derivato la mia formazione emozionale e forse i primi tratti della mia personalità artistica. L’intensità delle sensazioni e il vigore dei sentimenti resteranno una mia caratteristica, indelebile come il ricordo sfuggente dei colori, degli odori, delle musiche, delle danze, dei sapori speziati ma anche – se pure percepita da lontano – della miseria, della criminalità, della disperazione.

Situazioni familiari non prevedibili mi hanno riportata tra le brume padane a sperimentare stili di vita tra i più disparati ai quali probabilmente debbo la flessibilità e la molteplicità, ma anche l’inquietudine del mio pensiero.

Ho esercitato attività artistiche come il teatro e la danza mentre già mi avviavo verso quella che diverrà, dopo la laurea al DAMS conseguita presso l’Università di Torino, la mia professione primaria.

Ho conosciuto il benessere e il malessere, l’esaltazione e lo sconforto, ho viaggiato il mondo al di qua e al di là dell’oceano con la macchina a tracolla e il cuore ‘in mano’, nell’incessante ricerca di volti, di gesti, di oggetti, di scenari, che, a volte con mio stesso incantato stupore, vedevo trasfigurati in arte.

Mi capita ancora di meravigliarmi di me stessa.

 

Gioie e dolori di lavorare come regista e fotografa

Mentre lavoro alla regia, l’attore è per me il ruolo che interpreta. Ne condivido i turbamenti, le difficoltà, i successi, mi è figlio e mi è padre in una sorta di dicotomica simbiosi (mi si conceda l’ossimoro) dove la nostra precedente relazione interpersonale – simpatia antipatia, stima disistima, affinità divergenza – si oscura, per riprendere poi tutti i suoi aspetti umani a lavoro ultimato.

Più che gioia e dolore, tensione e sollievo.

La fotografia è difficile, tanto difficile. Prende forma un embrione di progetto, spesso per uno stimolo inatteso, poi vi si affollano intorno suggestioni, ricordi, propositi abortiti, e immagini, tante immagini, alcune così belle da non potervi rinunciare, altre amate ma peregrine, e affiorano riferimenti culturali e subentra l’inquietudine, l’attesa del ‘momento’, la gestazione può durare settimane, a volte mesi, so che devo resistere alla frustrazione dell’incertezza, che l’insight spesso arriva a mente rilassata, quando sto per entrare nel sonno o sono sul punto di uscirne.

Poi c’è tutta la parte pratica, necessaria per la realizzazione, dove anche la tecnologia è arte e non, come potrebbe sembrare, ancella dell’arte. Sì, è difficile.

 

Raccontaci qualche incontro speciale/inaspettato/commovente

Andreina: maestra, mentore, madre, persona, caratterizzata dall’attenzione, dall’energia, dalla creatività che mette a disposizione degli altri.

Non chiede mai nulla per sé, non si lagna mai di nulla, non esige nulla, sembra non rimpiangere nulla: avanza negli anni con vigore e con dignità e con gioia di vivere.

Conosce il dolore, eppure quando è con gli altri pare che il dolore non l’abbia mai sfiorata. E’ stata certamente delusa da molti, come chiunque: ma quando parla e racconta pare che tutti siano sempre stati buoni con lei, e che lei abbia fiducia in tutti.

Talvolta cucina per gli amici, ha un rapporto amabile con il cibo cui si applica con la stessa diligenza che dedica alle sue molteplici opere dell’intelletto. Le sue cene sono raffinate composizioni estetiche, ma non hanno nulla di formale: si capisce che sono fatte per amore e con amore.

E’ un esempio ed un punto di riferimento.

 

Cosa fa la società per te

La società stimola la mia mente, mi offre il suo essere variegata, mutevole e perciò stesso sempre nuova e imprevedibile. E’ il mio interlocutore, mi accoglie, che mi apprezzi o mi denigri comunque mi incentiva. La società giustifica il mio essere artista.

 

Cosa fai tu per la società?

Bella domanda, me lo chiedo spesso anch’io.

Qualcuno pensa che l’Artista, quello vero, con l’A maiuscola lavori solo per se stesso e per il bisogno di esprimersi. Io sono un’artista con l’a minuscola, lavoro, appunto, per la società, per comunicare pensieri, emozioni, per suggerire, ecco, soprattutto per suggerire punti di vista che all’osservatore comune, troppo impegnato con i problemi della quotidianità, possono sfuggire.

Nelle mie opere lascio poco spazio al neutro: la bellezza è struggente, la bruttura agghiacciante o repellente, la luminosità e il buio accecano, l’una per eccesso, l’altro per difetto di luce.

Vorrei che le mie opere fossero un richiamo, un invito — questo è il mio obiettivo — per i miei interlocutori, cioè per tutti, ad ‘accorgersi’.

 

 

Un’esperienza bella che ti è capitata di recente

Tre anni fa un figlio. Risposta banale, ma diviene banale – una parola, una frase, un’affermazione – quando risponde puntualmente alle esigenze e alle aspettative delle maggioranze. E’ il valore del banale.

La nascita è l’evento più comune, insieme alla morte, e tuttavia entrambe suscitano emozioni non confrontabili con altre per quanto forti.

Un’immotivata felicità mi ha pervasa, un appagamento irrazionale e cosmico. Il miracolo della procreazione.

E poi, l’addestramento di un figlio alla vita implica la necessità di ridisciplinare tutti i principi, tutti i convincimenti, di rivederli alla luce di un futuro ancora sconosciuto ma passibile di prevedibilità, rinunciando a quella totale immersione nel presente che è tipica del momento creativo, allo stato nascente.

E’ subentrato nella mia mente un nuovo tipo di immaginazione, che ha sgomberato il campo dal superfluo e dal dispersivo.

 

Una passione culinaria

L’avocado, antico frutto precolombiano, originario di quell’America Latina, patria in cui si è ben radicato il mio essere.

La buccia, liscia e lucida e verde o bruna e rugosa e opaca è già al tatto piena di promesse: docile al coltello che lo dimezza, l’avocado offre, intorno al semone ovoidale la sua polpa morbida e burrosa che ben si coniuga con la fluidità dell’olio, la sapidità del sale, l’aromaticità dell’aceto balsamico, l’aggressività contenuta della Worchester.

Un cucchiaio di piccole dimensioni e di forma allungata è la posata ideale per gustarlo in tutta la sua delicata fragranza.

Per il guacamole è indispensabile quel peperoncino pungente e profumato che cresce nelle terre del Sud e una mano leggera che sminuzzi la cipolla né troppo né poco, giusto piccolissimi frantumi appena resistenti al dente goloso del fortunato commensale.

 

La tua bevanda preferita

La mia bevanda preferita è lo champagne e un po’ me ne dolgo.

Me ne dolgo perché se è vero che la letteratura trabocca di raffinati e colti consumatori di champagne, è altrettanto vero che è pure il vino prediletto delle soubrettes e dei playboy.

E me ne dolgo perché assai raramente me ne posso deliziare.

Allora, parafrasando Lili Bollinger, signora della celebre Maison, e cambiando l’indicativo della realtà con il condizionale del dubbio, dirò che “lo Champagne lo berrei quando sono contenta e quando sono triste. Talvolta lo berrei quando sono sola. Quando ho compagnia lo vorrei offrire. Lo sorseggerei quando non ho fame e, quando ne ho, lo sorbirei per accompagnare il cibo . Altrimenti non lo toccherei proprio, a meno che non abbia sete”.

 

La musica o un libro che ti accompagna(no)

Tanta musica:nel sangue sento vibrare la marimba del maestro Gualajo (colombiano) e tutti i tamburi afrocolombiani che mi fanno muovere anche se la temperatura è calda e umida; mi sono sufficienti poche note del compositore estone Arvo Part per scivolare lentamente nella mia drammaturgia e la stessa cosa accade con la sinfonia 5, IV adagietto di Mahler; amo la visione di tende che ondeggiano al vento con lo “swingare” del californiano chet baker; e tanti ma tanti altri che mi fanno trascendere da me stessa, mi elvano e danno gioia fino alle lacrime, la lista serebbe infinita, ma qui voglio ricordare e la chitarrista romana Lili Refrein geniale camaleonte che nei suoi loop per chitarra e voce condensa lied operistico, ballate folk rock progressive, metal, musica barocca e ninne nanne.

Tanti libri: in particolar modo Garcia Marquez con “La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata” e James Baldwin con “Il vero delitto è l’ignoranza” che ho letto nel 1985 in italiano, quando ancora dovevo imparare bene questa lingua. L’ho preso un pò a caso in biblioteca, e dopo averlo terminato decisi di acquistarlo perchè doveva accompagnarmi nello scorrere dei giorni della mia vita. Avevo 15 anni. Non l’ho più riletto da allora. Le parole di Baldwin mi illuminavano sulle responsabilità morali che abbiamo verso i pregiudizi, i valori, le azioni e verso tutto ciò che ignoriamo.

Avevo poi letto altri suoi libri:da allora ci sono alcuni suoi pensieri che non mi abbandonano: “I bambini non sono mai stati molto bravi nell’ascoltare gli adulti, ma non hanno mai mancato di imitarli”; e a proposito dell’artista: “La distinzione principale dell’artista è che deve coltivare attivamente lo stato che molti uomini, necessariamente, devono evitare: lo stato di essere soli”.

E purtroppo non sono in grado di citarla con esattezza a memoria ma le sue parole “puoi portare via un uomo dal suo paese ma non potrai mai portare via un paese dal cuore di un uomo” sono ancora in me incise ed è qui che mi sono davvero illuminata sul fatto che tutto ti può essere rubato, portato via, dimenticato, perso ma non quello che ti porti dentro di te. Potrei in effatti regalare il libri che ancora ho di lui: ciò che doveva restare è con me al di là del possedere il cartaceo..

 

Un talento che hai e uno che ti manca

Ho il talento della creatività nell’arte come nel quotidiano. Non temo il furto delle idee perché la mia mente ne produce a pioggia, a grandine (e talvolta, come la grandine, picchiano e dolgono), a ruota libera e ordinatamente, accavallate e intricate o bene allineate come soldatini, troppe per poterle utilizzare tutte e questo è il risvolto inquietante.

Ho la presunzione di credermi capace di essere tanto nuova ogni giorno da non risultare noiosa agli amici, ripetitiva agli allievi, stucchevole ai committenti. Posso modificare, trovare alternative, rispondere costruttivamente alle inevitabili frustrazioni della vita – piccole e non – dalla contrarietà al dolore, mi sento capace di fornire qualche apporto di novità alla esigua porzione sociale nella quale mi trovo ad operare, sia nel privato, sia nelòa sfera professionale.

Un talento che non ho? Tutti gli altri.

 

Cosa hai imparato dalla vita?

Ho imparato – e parafraso Ungaretti – che “la vita si sconta vivendo”, nel senso che la vita offre sì i suoi doni multiformi, di bene e di male spesso, in una visione olistica del mondo (la mia), inestricabili e circonfusi, e li distribuisce senza parsimonia, ma i prezzi sono assai elevati. Si richiede all’utente disponibilità a non risparmiarsi, a mettersi in gioco anche rinunciando alle sagge cautele suggerite dai (absit iniuria verbis) cosiddetti benpensanti.

 

courtesy immagine Stefania Bonatelli

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