La tua vita in poche righe
Nasco a Sala Consilina. Mi sono trasferita a New York nell’84 quando avevo 18 anni.
Mia madre, una donna molto generosa, è sempre stata di grande supporto per noi figli: io avevo ragioni forti per venire in America: mi ero profondamente innamorata della musica e della letteratura americana e avevo bisogno di una scusa per venire. Ho scelto di iscrivermi alla facoltà di cinema alla New York University proprio perché da noi a quel tempo non c’era un equivalente. Era il tasto giusto per convincerla!
Da allora sono tornata in Italia solo per brevi periodi e per progetti di studio o letterari, ma non sono più riuscita a lasciare l’America. Ho fatto una vita americana, nel senso che mi sono sposata più di una volta qui e ho costruito la mia famiglia.
Adesso sto scrivendo una guida alla New York ribelle, per la Voland (uscirà l’anno prossimo) e in queste ore in cui conversiamo, sto scrivendo una pagina su Garcia Lorca: è stato proprio attraverso Poeta en Nueva York, in cui lui racconta quei suoi dieci mesi americani nel 1929 che ho conosciuto Walt Whitman e Harlem quando ero ragazza. Da lì, il resto: Melville, Poe, Hemingway, Wharton e poi Baldwin, Hughes, Morrison, Lorde, Monk, Coltrane, Hendrix, Dylan.
La stranezza è l’avere continuato a scrivere in Italiano, una passione quella della scrittura che viene da lontano, sin da quando ero ragazza. Arrivavo in America con questa forte vocazione, dote e disciplina della scrittura. Ora scrivo anche in inglese. I temi, che permeano quasi tutti i miei romanzi, sono quelli del viaggio e della dislocazione e in cui l’Italia è per forza di cose vista da lontano, con dolcezza e malinconia, forse anche oleograficamente.
Dopo la laurea mi sono donata alle mie passioni: gli studi classici, come la letteratura greca e la mitologia che insegno all’università e l’antropologia religiosa, soprattutto lo sciamanesimo e le religioni africane.
Mentre ero ad Harlem ho fatto tirocinio per diventare sacerdote della Yoruba, religione africana del sud ovest della Nigeria che in America si è sincretizzata con altri credi come il cristianesimo o le religioni amerinde. È un credo complesso, politeistico. Ho studiato con una sacerdotessa madre e ho dato i voti, diventando sacerdote nel 1991. Nella Yoruba non c’è una cultura scritta e attraverso lo storytelling, il canto, il culto dei morti e l’arte della divinazione si apprende, si insegna e si cura, in una parola si opera il sacerdozio. L’ultimo libro che ho scritto (Come della Rosa, ed. Effigie), parla del sacerdozio e di come la protagonista si restituisce alle proprie origini. Nel romanzo, si esplora lo storytelling come forma di medicina magica e di terapia trasformativa.
Sei parte di un progetto multidisciplinare, B.A.C.A.S. (Borghi Antichi Cultura Arti Scienze), dove dirigi i programmi letterari italiani: siete un gruppo di artisti per lo più, residenti a New York e vi rivolgete alla vostra terra (in questo caso il Cilento/Vallo di Diano) per dare qualcosa in cambio in via ‘stabile’. Ci racconti di più?
Sì, BACAS è un centro culturale per artisti e studiosi, inteso a incoraggiare e a sostenere collaborazioni interdisciplinari tra artisti e studiosi di diverse discipline e in diverse fasi della loro carriera. Nasciamo a new York ma operiamo al Castello Macchiaroli di Teggiano, un borgo medievale nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni, in provincia di Salerno. Offriamo residenze in sede ai nostri artisti e studiosi e curiamo mostre, simposi, concerti. Abbiamo ideato una fucina che accolga artisti e studiosi di varie discipline che abbiano tempo e spazio per lavorare in solitudine o per collaborare fra loro, e che organizzi attività culturali aperte al pubblico generalista. Anche perché i fondatori del progetto vengono da diversi saperi: Pietro è un artista visivo e Denver Butson è un poeta.
L’idea è partita dal desiderio di restituire a questa terra amata, perché ti ha permesso di andare via con tante visioni, immaginario e potenzialità. Che si è spesi altrove, attingendo però continuamente al Vallo di Diano e al Cilento: una fonte continua di ispirazione, sia nell’immaginario che nel ricordo.
Si vuole tornare indietro dalla madre di tutto quell’immaginario che si situa alle pendici delle montagne del Cervati. Sembra un po’ romantico ma è così.
Dal dire al fare c’è di mezzo tanto. Nel mio caso, per anni ho pensato a come fare e ne ho parlato con vari amici ma è rimasta un’idea, lasciata con le tazzine del caffè al tavolino di un bar. La cosa bella è che infine ho trovato una persona, Pietro Costa, mio valligiano, che aveva lasciato l’Italia prima di me e quando era ancora più giovane. Aveva avuto la mia stessa idea: restituire del pari ma lui aveva già trovato un partner, il poeta Denver Butson, che si era innamorato della nostra terra e aveva accettato di lavorare con lui sul progetto. Pietro aveva già fatto passi da gigante per farlo diventare realtà quando io sono arrivata e io ho sposato immediatamente il progetto. E ora, dopo tanto lavoro e con il supporto della nostra valle e della regione, sta accadendo!
La nostra terra non è molto conosciuta. Il Cilento in genere e il Vallo di Diano, nello specifico, sono aree poco conosciute anche per gli italiani. Ti racconto una cosa che mi faceva arrabbiare da ragazza: il mio paese, Sala Consilina, di fronte a Teggiano dove si terrà la residenza, è spesso nominato solo perché c’è un distributore di benzina sull’autostrada del sole, tappa obbligata per chi scenda verso la Puglia o la Calabria. Quasi nessuno si spinge nell’entroterra, nonostante sia ricco dal punto di vista artistico e poeticissimo da quello naturale.
Nella prima edizione di BACAS, dal 6 al 16 luglio 2018, offriremo dieci giorni abbastanza fitti di seminari, concerti e letture mentre i prossimi anni i periodi di attività saranno più lunghi, dalle due settimane a un mese.
Quest’anno iniziamo con residenze di letteratura, architettura, arti visive e musica.
Per la letteratura abbiamo un programma italiano e un programma americano.
Per il programma italiano il nostro ospite è Leonardo Colombati e la sua scuola di scrittura creativa Molly Bloom, con un seminario di tre giorni dal 12 luglio, già aperto alle iscrizioni.
E per il programma americano avremo quattro residenti in sede: Edmund White, Garnett Cadogan, un critico che si occupa di cultura nera, il poeta Denver Butson e io, che farò un po’ da ponte tra le lingue, poiché alla fine della residenza il nostro evento letterario sarà a tema, e sarà bilingue.
C’è poi il programma di architettura, a cura dell’architetto Rossella Siani, con lo Studio 2111 di Federico Caròla e Associati, dove gli iscritti costruiranno in sede una cupola con il metodo del compasso nubiano e il programma artistico, con le residenze dello scultore Arturo Ianniello, gli artisti visivi Karen Reeves e Pietro Costa, e quello musicale con la residenza del progetto multimediale Psychoplum con il Marco Cappelli Acousit Trio e Daniele Del Monaco. E poi un simposio di ingegneria, mostre di fotografia, concerti, presentazioni.
Il nostro sito web può raccontarvi già tutto.
Talenti che hai o che ti mancano? Quello che hai credo di averli capiti ma mi manca quello che vorresti o che senti di non avere
Talenti o capacità? E c’è una differenza, poi? La memoria. Mi ricordo tutto, è inverosimile.
Poi la capacità di ascolto – anche per mestiere, ovviamente. Questo può essere un problema per chi si sfoga/confessa con me, visto il mio primo talento!
Infine sono una simpaticona o almeno questo dicono i miei studenti, che spesso ridono durante le mie lezioni su Omero, e certo far ridere mentre racconti l’Iliade comporta un certo talento.
Quello che mi manca?
A) distacco: tendo quindi a essere critica, è antipatico.
B) senso dell’ironia: tendo ad essere sentimentale, mi commuovo troppo spesso, è irritante.
Entrambe queste manchevolezze indicano una cosa, mi prendo troppo sul serio e questo è un guaio. Chi mi credo di essere?
Gioie e dolori del lavoro come sacerdote e come docente?
Raccontare l’Iliade e l’Odissea è un piacere.
La gioia dell’insegnamento è l’insegnamento stesso, quando vedi gli studenti coinvolti. Ma il loro coinvolgimento dipende dal nostro impegno, e dalla nostra abilità nell’insegnare.
Il mio dolore è assistere alla trasformazione dell’università americana da un luogo di cultura ad una fabbrica di voti. Questo stressa gli studenti dato che la valutazione non è sul rendimento reale: perdono il piacere di imparare e di studiare. Quindi, per converso, si perde il piacere di insegnare.
Da sacerdote, le cose stanno diversamente. È una religione straordinaria, profondissima, le cui fondamenta sono simili a quelle della religione greca antica. Emotivamente il legame con la filosofia della Yoruba è forte e questo fa sì che continuamente io mi abbeveri per così dire alla sua fonte e che rinnovi nel quotidiano il giuramento con quelli che sono i suoi principi. Lì, la gioia, così come anche la semplice pratica sacerdotale, il lavoro con i fedeli. Molti dei credenti della mia religione sono di un ceto sociale non privilegiato, con una situazione demografica difficile. E all’interno del discorso religioso c’è molto spazio per il riscatto personale. Soprattutto per le donne, che attraverso il sacerdozio, spesso guadagnano posizioni di privilegio che restituiscono loro dignità all’interno di gruppi sociali in cui normalmente sono relegate in posizioni marginali, e questo in un paese già razzista, all’osso, terrificante. Poi come ogni sacerdozio è esigente, ma questo lo si accetta.
Dove ti vedi tra dieci anni? Sempre in America?
Guarda, se me l’avessi chiesto un anno fa, ti avrei detto sicuramente di sì e non solo in America, ma proprio qui a New York.
Devo dire che adesso, semplicemente a ragione del fatto che è diventata una città molto costosa, comincio a interrogarmi sul fatto se sia possibile vivere a New York da vecchi. Dieci anni fa lo sarebbe stato, ma ora lo dubito. New York è stata sempre una città dura e spietata ma per altre ragioni: ha avuto sempre un’anima per così dire ribelle e sacche di accoglienza per chi voleva crearsi una vita alternativa. Ora il carovita è tale che diventa impossibile pensare di viverci senza un solido programma e con le spalle ben coperte.
Mi vedo qui, allora, ma con lunghi periodi altrove, e se mi chiedi dell’altrove penso all’Italia e alla Grecia, i luoghi che amo di più al mondo, e nelle montagne del sud est del Colorado, dove ho vissuto per sette anni e dove ho ancora una terra e una casa e dove la vita è più semplice che a New York. Anche questo è parte della mia letteratura, nel primo romanzo racconto dell’Ovest di questo grande Paese. Non riuscirei, credo, a lasciare del tutto l’America: rimane il luogo dove le radici sono profonde quanto quelle italiane.
Tiziana Rinaldi Castro è autrice di Come della rosa
Per restare informati sul programma di BACAS: https://www.bacasitaly.org/it/home/