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Sono arrivato in paradiso ed era sciropposo.
Era oppressivamente dolce.
Sostanze gracidanti s’impantanavano alle mie ginocchia.
Di tutte le sostanze, San Michele era il più appiccicoso.
Lo afferrai e lo incollai sulla mia testa.
Trovai Dio, un gigantesco giornale volante.
Ne stetti lontano.
Camminai dove tutto odorava di cioccolato bruciato.
Nel frattempo San Michele era indaffarato a tagliuzzare
i miei capelli con la sua spada.
Trovai Dante nudo in un blob di miele.
Gli orsi leccavano le sue cosce.
Io agguantai la spada di San Michele
e mi sono ridotto a un quarto in un grande adesivo circolare.
Il mio torso cadde su un equilibrio elastico.
Come se sparato da una fionda
il mio torso sibila a Dio giornale volante.
Le mie gambe affondano in qualche inimmaginabile corrente.
La mia testa, sebbene appesantita dalla zavorra di San Michele,
non cadde.
Sottili fili di gomma colorata
la appesero là.
Il mio spirito si bloccò con il mio torso intrappolato.
Io tiravo! Strattonavo! Lo giravo da sinistra a destra!
Si illividiva! Si ammorbidiva! Non si poteva liberare!
La battaglia di un’Eternità!
Un’eternità di strattoni, di strappi!
Ritornai alla mia testa,
San Michele si era succhiato tutta la mia scatola cranica!
Teschio!
Il mio teschio!
Solo teschi in paradiso!
Andai dalle mie gambe.
San Pietro si puliva i sandali con le mie ginocchia!
Mi sono afferrato a lui!
L’ho preso a pugni nello zucchero nel miele nella marmellata!
Sono scappato con ciascuna gamba sotto le braccia!
La polizia del paradiso era in agitata ricerca!
Mi sono nascosto nel pane inzuppato di San Francesco.
Rantolando nella pasticceria della sua gentilezza
Piansi, carezzando le mie gambe minacciate.
2
Mi catturarono.
Si presero le mie gambe.
Mi condannarono nel firmamento degli idioti.
La prigione di un’Eternità!
Un’eternità di lavoro! Di ha-ha!
Appesantito con gli sporchi abiti dei santi
Complottavo la fuga.
Trascinando l’ampolla verso il suo riempimento giornaliero
Complottavo la fuga.
Complottavo di scalare montagne impossibili.
Complottavo sotto la frusta della Vergine.
Complottavo al suon della gioia celeste.
Complottavo al suono della terra,
al vagito degli infanti,
ai gemiti degli adulti,
al tonfo delle bare.
Complottavo la fuga.
Dio era occupato a passarsi le sfere di mano in mano.
Era giunto il momento.
Ruppi le ganasce.
Ruppi le mie gambe.
Incurvai la pancia piatta sull’aratro
sul forcone
sulla falce.
Il mio spirito colava dalle ferite.
Tutto lo spirito in una pozza.
Mi levai dalla carcassa del mio tormento.
Mi alzai sull’orlo del paradiso.
E giurai che il Grande Territorio tremasse
quando caddi, libero.
Gregory Corso (Stati Uniti, 1930-2001), da Mondfield: New and Selected Poems, New York: New Directions Publishing Corporation, 1989 – traduzione di Diana Marrone