pecora a pezzi
Lo so, sembra strano detto così, ma vi assicuro che succede.
Tu ci stai addosso da un bel po’ di tempo, a cucire, a scegliere,
a sottrarre ad appiccicare, seguendo l’ordine cronologico prestabilito;
sei lì e butti giù una LINEA che metta in pratica fedelmente l’idea primigenia
del regista e di chi aveva scritto il film con lui.
E poi, appunto, all’improvviso succede.
Il film si mette a parlare (a belare, nel nostro caso).
Voi mi direte – sì eccone un altro, anche il mio cane mi chiama sempre per nome etc, etc.. – ma c’è poco da ironizzare, è proprio quello che accade.
Sei lì in quella stanza mediamente buia che ti ostini chissà perchè a chiamare moviola, e il film ti dice che la LINEA da seguire va nell’altra direzione.
Tocca ascoltarlo, allora. E spostare la scena 4 dopo la 33, la 25 in mezzo alla sessantaquattro, cassare l’ottantuno, e così via con un fervore crescente, una chiarezza inaspettata, uno sguardo improvvisamente più luminoso. La pecora, a quel punto, per quanto nera si fa mansueta, ti segue, ti guida, correte assieme, tagli smussi ammorbidisci, vedi,rivedi, ritocchi, rivedi e alla fine ci arrivi, felice, stremato, e tutti i dubbi che doverosamente avevi coltivato scompaiono d’incanto.
È lì, la pecora nera, ed è assai bella.
un pomeriggio di fine marzo 2010, uffici di produzione.
“già finito? ma come continua?” Ascanio sembrava soddisfatto.
i contorni si facevano meno fumosi, quell’oggetto informe cominciava ad avvicinarsi alla pecora a lungo immaginata: era la prima volta che vedeva 4 o 5 scene messe in fila (era sul set da un paio di settimane ed io avevo cominciato a lavorarci subito) Alla fine della breve proiezione avvertivo però una piccola resistenza, che andava al di là di un rapporto interpersonale ancora tutto da costruire (sarà stata la seconda, forse la terza volta che ci vedevamo, in maggio e giugno avremmo passato più tempo assieme che con le rispettive mogli..). “no, bello, mi piace, però la scena che viene dopo preferirei tenerla in pianosequenza, senza stacchi, magari questo totalino qui.. e più in generale è un approccio che vorrei conservare spesso, nel corso della stesura del film..”
Una piccola – non so quanto conscia – diffidenza verso lo strumento montaggio.
L’eterna riproposizione del trauma dello stacco.
giugno
Trauma molto ben assorbito.
Si è appropriato del giocattolo, e mi sembra ci si diverta molto..
Fin dai primi incontri con la produzione e con Daniele Ciprì – premesso che il film sarebbe stato girato in digitale – avevo molto caldeggiato l’opzione Red camera.
In tre film precedenti avevo già sperimentato quanto – dal punto di vista della costruzione grammaticale – l’oggetto Red nascondesse opportunità assolutamente rivoluzionarie. Con una risoluzione di ripresa doppia rispetto a quella che viene poi utilizzata nella finalizzazione del film si possono ingrandire le immagini fino al 200 percento: c’è un’unica inquadratura in campo medio per una scena e avresti bisogno di un primo piano per staccare? Vuoi escludere qualcosa, qualcuno dallo sguardo dello spettatore? Dacci dentro di zoom ed ottieni quanto ti occorre senza nessuna perdita di qualitá! Dopo 15 settimane di montaggio avevamo, assieme a tutto lo straordinario materiale proveniente dal set, un piccolo strumento in più.
Decine di nuove ri-quadrature che – scompaginando forse piani precedenti con accellerazioni non previste – hanno aiutato me ed Ascanio ad afferrare l’incedere della pecora nera, il suo respiro.
Quell’armonioso disequilibrio tra schizofrenia e stasi, tra elettricità e catatonia.
(un altro piccolissimo passo in direzione dell’affannosa, impossibile ricerca di aderenza della forma-montaggio alle “viscere” del film in costruzione?)
corridoi senza fine senza inizio
Guarda, riguarda, torna indietro, fammelo riascoltare un attimo.
Quante volte Donatella, Yael, Ascanio, Giogiò hanno visto-rivisto questa scena e quell’altra, e quell’altra ancora?
Possibile che dopo tutte queste volte il finale della pecora nera mi lasci ancora senza fiato?